Milano, 9 maggio 2025
A volte ci si chiede come facciano gli artisti a mantenere lo stesso grado di intensità quando suonano (più o meno) la stessa scaletta tutte le sere. Bisognerebbe domandarlo ai Karate, giunti alla seconda data milanese dopo un mini tour italiano che li ha visti esibirsi per non so quanti giorni di fila. Perché il risultato è stato, ancora una volta, di fortissimo impatto. La perfezione formale, unita a picchi emotivi da brividi.
Il trio di Boston ha superato i 30 anni dalla fondazione, di cui una decina di silenzio discografico. Ma dopo la reunion del 2022, sembrano viaggiare lisci lisci verso nuovi traguardi. Nonostante l’età che avanza, infatti, Geoff Farina e soci suonano ancora come quando erano ragazzini. Viene quasi da pensare il contrario, e cioè che da ragazzini suonassero già come un complessino di veterani. Comunque la vogliate vedere, siamo al cospetto di veri e propri maestri.
Senza grossi sforzi di promozione, hanno messo a segno un doppio sold out che ha confermato l’attaccamento che il pubblico italiano mostra da sempre nei loro confronti. Il tour in questione segue la pubblicazione dell’ultimo album “Make It Fit”, uscito l’anno scorso per Numero Group. Un disco in cui la band si ripresenta in una versione inedita, più fresca, ripulita da certe asperità post-rock e dalle complessità jazz che l’hanno resa iconica. Un rischio, a ben guardare, che ha però permesso di vincere la sfida del tempo rituffandosi nel mondo discografico con un prodotto più accessibile.
Dal vivo, tuttavia, i Karate mantengono alto il coefficiente di difficoltà pescando ancora tanto dal passato. Lo mettono subito in chiaro con l’incipit affidato a Bass Sounds, uno dei quattro brani proposti stasera tratti dal capolavoro “The Bed is in The Ocean”, con il basso, appunto, che fa da tappeto alla strabordante chitarra di Farina. Difficile immaginare il buon Geoff senza il suo strumento tra le braccia. Pare un monumento scolpito in un unico blocco di granito. Così solido, sicuro di sé e al di sopra delle parti, da sembrare infallibile. Un eroe che non ha più bisogno di dimostrare nulla.
La sala dello Spazio Teatro, piena e ben organizzata, si rivela perfetta per questo tipo di live, specie quando i tre americani sfoderano il loro repertorio slowcore (vedi Small Fires, Water, This Day Next Year e Alingual). Senza nulla togliere, ovviamente, alla resa di brani più tirati come Diazapam o la più recente Defendants, la gemma dall’aria vivace che apre egregiamente l’ultimo disco.
A far battere il cuore, però, sono i pezzoni dai toni epici che hanno fatto la storia della band. There Are Ghosts, piazzata tra le prime in scaletta, è un bel colpaccio di adrenalina che esplode nel finale. Sever è forse la canzone più bella mai scritta dal gruppo. Dal vivo, poi, rimescola lo stomaco risvegliando ricordi ed emozioni lontane. Lo stesso vale per The Same Stars, naturalmente, e per Operation: Sand, un brano chiave per la carriera dei Nostri, pubblicato nel 1998 e poi trascurato per anni nei live.
La sensazione, all’uscita, è quella di aver partecipato a un evento importante. Una serata alla quale prendere parte era necessario, o comunque fortemente raccomandato. Insomma, con tutta la fuffa che provano a rifilarci negli ultimi tempi, quando capitano occasioni del genere è meglio non farsele scappare. Non ce le facevamo scappare vent’anni fa, figurati adesso.
A proposito. Nel chiacchiericcio di fine concerto si coglie in sottofondo una domanda ricorrente: “Ma tu, prima di stasera, in che anno avevi visto i Karate?”. Ognuno spara la sua, con uno spirito archivistico e una dovizia di particolari che sono tipici dei fan di band come questa. Le risposte tracciano una parentesi ampissima. Si va dal 2003 al 2022. E magari c’è pure qualcuno che andò a sentirli sul finire dei Novanta.
Paolo

Mi racconto in una frase:
Gran rallentatore di eventi, musicalmente onnivoro, ma con un debole per l’orchestra del maestro Mario Canello.
I miei tre locali preferiti per ascoltare musica:
Cox 18 (Milano), Hana-Bi (Marina di Ravenna), Bloom (Mezzago, MB)
Il primo disco che ho comprato:
Guns’n’Roses – Lies
Il primo disco che avrei voluto comprare:
Sonic Youth – Daydream Nation
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso:
Ho scritto la mia prima recensione nel 1994 con una macchina da scrivere. Il disco era “Monster” dei Rem. Non l’ha mai letta nessuno.