A pochi giorni dalla loro apparizione al festival “La Prima Estate”, che prenderà il via a Lido di Camaiore venerdì 20 giugno (qui la nostra presentazione del programma), abbiamo avuto modo di scambiare due chiacchiere con James Smith e Ryan Needham degli Yard Act. Il set della band è previsto proprio nella data inaugurale e li vedrà calcare il palco insieme a Tare, Spiritualized e gli headliner Mogwai.
Quando appaiono in collegamento, i due sono seduti sul divano davanti a una tazza di tè, probabilmente nel salotto di un appartamento a Leeds. James indossa una spilla con la bandiera della Palestina. Subito interrogati sull’imminente partecipazione a “La Prima Estate”, James e Ryan ci spiegano cosa suoneranno sul palco.
J: Il set che abbiamo preparato per i festival di quest’estate è un solido mix di entrambi i dischi, c’è del materiale che non è presente nell’album e ci saranno alcune nuove canzoni. Il nuovo album uscirà più avanti nel corso dell’anno o all’inizio del prossimo. Siamo entusiasti di tornare in Italia, tutti i festival in Italia in cui abbiamo suonato sono stati fantastici. E poi dobbiamo scaldare il palco per gli Spiritualized e i Mogwai, con cui abbiamo suonato anche a Madrid la scorsa settimana, quindi credo che entreremo in scena pronti a fare scintille.
A proposito di “Where’s My Utopia” (Island, 2024), il vostro sound in questo secondo album va ben oltre il post-punk e sembra che abbiate sperimentato molto. Esibirvi sui palchi di festival internazionali, come “La Prima Estate” ha influenzato il vostro desiderio di sperimentare generi diversi in studio?
R: Sì, sicuramente viaggiare per il mondo, essere esposti, sai, apre un po’ la tua visione del mondo. Voglio dire che fondamentalmente vediamo le stesse band che suonano in paesi diversi, ma in termini di musica, ci sono stati alcuni posti in cui siamo stati in giro quando avevamo dei giorni liberi e abbiamo avuto modo di interagire con le tradizioni locali. Ad esempio quando siamo stati in Messico ci ha colpito molto un genere di musica tradizionale messicana suonata da giovani ragazzi con strumenti rock, ci ha aperto gli occhi.
J: Penso che dato che visitiamo tanti posti diversi, anche se siamo sempre stati fan di altre musiche, quando vedi come questo influisce sulle persone in diverse parti del mondo, ti rendi conto di cosa siano l’identità e la provenienza. L’identità e il luogo da cui provieni sono il significato di suonare a livello internazionale. Sei una specie di ambasciatore del tuo Paese. Anche se siamo ancora molto legati a Leeds e al Nord dell’Inghilterra, negli ultimi quattro anni la nostra casa è stata la strada. Credo che questo sia il motivo per cui il secondo album è stato alimentato da tanta sperimentazione, tanto amore per i generi musicali che non provengono dal Regno Unito, capisci? I nostri ascolti non sono mai stati vincolati da un genere in particolare e Remy (Kabaka Jr., Gorillaz), che ha prodotto l’album, è stato fondamentale nel farci capire che dovevamo domare il nostro amore per tutta questa musica e condividerlo con il mondo. È per questo che il secondo album è venuto fuori nel modo in cui è venuto. E il terzo sta continuando su questa strada.
I testi dell’album si interrogano sul significato della vita, sullo scopo dell’attività artistica e sulla responsabilità personale. In che modo questi temi influenzano il vostro approccio quando suonate dal vivo?
J: Tutto riguarda il momento. La musica dal vivo è il luogo perfetto per mettere in pratica questo concetto. L’ho provato più volte di quante ne possa contare, ma non è ancora scontato che accada a ogni concerto, eppure una volta che l’hai provato sei costantemente alla ricerca di questa trascendenza. Il senso del tempo e dello spazio passa attraverso il nostro spettacolo: è un rituale condiviso con il pubblico, noi e il pubblico lavoriamo insieme. Quando la gente viene a un concerto o a un festival, vuole ottenere qualcosa. Quindi lavoriamo insieme per ottenere questo stato mentale che trascende il corpo e i pensieri quotidiani. Penso che le band sul palco mirino sempre a questo obiettivo. Soprattutto quando capita come a noi, di esibirsi su piccoli palchi e su palchi più grandi, con folle piccole e folle enormi.
R: Sì, penso che, come dici tu, la folla stessa si esibisca, e reciti la parte di essere la folla. E credo che quando l’intera produzione, il pubblico e la band, sono in sintonia allora il concerto funziona davvero.
In chiusura, incalzato dal collega di Nosiyroad riguardo alle vicende che hanno coinvolto il collettivo Kneecap in relazione alla loro presa di posizione pubblica in favore della Palestina, Smith ribadisce quel che avevamo intuito subito dalla sua spilla.
J: Come artisti, tutti hanno il diritto di esprimere la propria opinione, e penso che, per quanto riguarda la situazione in cui ci troviamo, se le persone si sentono offese dalle parole o dalle azioni che un musicista produce sul palco, devono fare i conti con i fatti che stanno accadendo in questo momento storico. In particolare, per quanto riguarda ciò che sta accadendo al popolo palestinese a causa del governo israeliano e dello Stato di Israele, il numero di bambini che vengono bombardati e uccisi è un fatto. Se non ti senti a tuo agio nel chiamarlo genocidio, perché non ti torna, devi comunque valutare i fatti. E se non ti senti a tuo agio con un genocidio, ti senti a tuo agio con persone che uccidono bambini? È così semplice.
Gli Yard Act hanno le idee chiare, e la loro musica è una delle scoperte più rilevanti degli ultimi anni a livello internazionale. La band di Leeds è pronta per travolgere il palco di Lido di Camaiore, e noi vi consigliamo di farvi travolgere.
Mattia Sofo

Mi racconto in una frase: “Il segreto è il whiskey” (dopo aver ottenuto il foglio rosa)
I miei tre locali preferiti per ascoltare musica: Alcatraz (Milano), Serraglio (Milano), Circolo Ohibò (Milano)
Il primo disco che ho comprato: Doveva essere qualcosa di Ligabue.
Il primo disco che avrei voluto comprare: Pink Floyd – Atom Heart Mother
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso: Mi piace andare al cinema da solo.