I Dead Poet Society sono una band rock che non ha paura di spingersi oltre i confini del convenzionale, portando sul palco una miscela di energia grezza e un sound che racconta storie di vita vissuta. Nati a Boston nel 2013 e ora stabilitisi nella Contea di Orange, i membri del gruppo, tra cui il chitarrista Jack Underkofler, continuano a conquistare fan in tutto il mondo con il loro stile unico. In questa intervista esclusiva, Jack ci svela non solo dettagli sulla band, ma anche sfumature della sua personalità, rivelando passioni, aneddoti e opinioni senza filtri. Scopriamo insieme un lato più personale del musicista, lontano dalle solite domande su album e successi. Eccovi l’intervista a Jack Underkofler a cura della nostra Ghya – IG: Ghyaietta
I Dead Poet Society, nati a Boston nel 2013, sono una rock band che otto anni fa si è trasferita nella Contea di Orange. Fin qui, tutto chiaro. A un primo sguardo, il loro nome “Dead Poet Society” (in italiano, “L’attimo fuggente”) rimanda subito al celebre film di Peter Weir. Ma c’è un legame? A quanto pare, no. Jack (il chitarrista) e il bassista scelsero questo nome prima che si unissero il cantante, anche lui Jack, e il batterista Will. Da allora, il nome è rimasto, nonostante i membri della band scherzino ancora sul fatto che sia troppo lungo e che prima o poi andrebbe cambiato. E questo è un dettaglio che vi svelo io, perché ho il sospetto che Jack Underkofler si sia stancato di rispondere sempre alle stesse domande: sul nome, sul titolo del loro primo album, !, o sul nuovo lavoro, Fission. Ho quindi deciso di fargli un’intervista un po’ diversa, per scoprire chi si nasconde dietro al musicista.
Jack mi aspetta rilassato su una sedia a sdraio, con un sorriso enorme che lascia intravedere i suoi denti da coniglietto. Vediamo cosa mi racconta.
Da dove nasce la tua passione per la musica? Hai sempre sognato di diventare un musicista?
Sì, anche se credo di non aver mai realizzato che fosse davvero il mio sogno finché non sono arrivato al liceo. Penso che la passione fosse già lì, in modo quasi passivo: mi piaceva semplicemente esibirmi per le persone. Ad esempio, da bambino facevo parte di un gruppo di chitarristi, suonavamo in case di riposo e posti del genere. E l’ho sempre presa molto sul serio! Non so perché, ma ero davvero preso. Al liceo, non sapevo cosa fare della mia vita. Volevo arruolarmi nell’esercito, ma poi mi sono detto: “Ok, faccio domanda per una scuola di musica. Se mi accettano, studierò musica. Se non mi accettano, mi arruolo nell’esercito”. Musica o esercito. Sono entrato in una scuola di musica, quindi direi che è andata bene!
Come ti senti prima di salire sul palco? Hai dei rituali o delle strane abitudini?
Di solito ho una scarica di adrenalina e cerco di incanalarla. Sai, non la libero, ma mi concentro e la lascio esplodere sul palco.
Puoi raccontarmi il tuo ricordo migliore e peggiore di un concerto?
Oh, mamma mia. Il ricordo peggiore è abbastanza recente. Ho suonato a un festival… non dico quando o dove, ma…
Dove? Dove?
Da qualche parte in Europa. Non posso dirlo. No, non lo dirò. Non era un festival musicale, era solo un festival. Facevano circa 38 gradi, un caldo pazzesco. Il nostro computer si è surriscaldato: lì dentro abbiamo tutte le armonie delle tracce. Lo usiamo perché io canto solo la voce principale, ovviamente. Beh, il computer si è surriscaldato, si è spento e si è riavviato. Così, tutto è andato fuori sincrono. Nessuno era lì per noi, si chiedevano “chi sono questi tizi?”. Faceva sempre più caldo. Tutti ci fissavano. Oh, mio Dio! Quando un concerto va male, ho di questi momenti di crisi esistenziale in cui mi chiedo cosa sto facendo della mia vita. Ma poi passa.
Il miglior concerto: al Pinkpop Festival a Landgraaf, nei Paesi Bassi. Probabilmente il mio preferito perché non avevo alcuna aspettativa. Eravamo i primi a salire sul palco quel giorno, solo cinque persone avevano assistito al soundcheck e mi sono allontanato un po’ deluso. Ma 45 minuti dopo, sono tornato e c’erano 8.000 persone. È stato fantastico!
Con quali artisti ti piacerebbe collaborare?
Sono un po’ scettico sulle collaborazioni, non so se funzionano davvero nel rock. Credo che, come in qualsiasi forma d’arte, le collaborazioni debbano nascere in modo naturale. Se scriviamo qualcosa insieme, il risultato deve suonare in modo spontaneamente fantastico. Ma non ho davvero nessuno in mente.
Tre aggettivi per descrivere la tua musica.
Aggettivi? Triste, arrabbiata, felice. Non so come descriverla.
E se non fossi un musicista, saresti nell’esercito?
Sì, probabilmente nell’esercito o nell’aeronautica. Mio padre era un pilota dell’aeronautica e sono cresciuto in una grande città militare. Sì, era un pilota di caccia.
Hai mai provato a volare con lui?
Una volta, quando ero piccolo, ha noleggiato un piccolo aereo tipo Cessna un paio di volte e mi ha portato in giro. Ma non è il mio mondo, non mi ci vedo.
Quando hai iniziato a suonare o quando hai scritto la tua prima canzone?
Ho scritto la mia prima canzone in seconda media. No, aspetta. Quanti anni hai in terza media? Avevo 15 o 16 anni. L’ho fatta leggere ai miei amici in classe e loro sono rimasti impressionati. Lì ho pensato: “Oh, lo sto facendo davvero”.
Hai mai cantato quella canzone?
No. Cazzo no! È una canzone orribile, bruttissima. Ma, sai…
Qual è la tua canzone “biglietto da visita”?
Penso Lo Air.
Qual è il verso di una delle tue canzoni che ti descrive meglio?
Probabilmente da Hurt, la nostra canzone Hurt.
Qual è la canzone che avresti voluto scrivere?
Read My Mind dei The Killers, senza dubbio.
L’album che ti ha cambiato la vita?
Probabilmente Continuum di John Mayer. Direi che è quello che in un certo senso l’ha “solidificata”.
Per quale film ti piacerebbe scrivere o aver scritto la colonna sonora?
Mi piacerebbe molto vedere un film o una serie TV su una band. Mi sembra che tanti film sorvolino su cosa significhi essere in una band. Sai, nel film di Freddie Mercury, quello sui Queen, la storia è strutturata come ogni film: un ragazzo con un sogno, mette su un gruppo, scrivono una canzone e poi… sono famosi e tutto è stupendo. Questo viene presentato come la realtà di una band. Invece in A proposito di Davis, hai mai visto quel film? È davvero deprimente, ma dà una rappresentazione molto più accurata di cosa significhi. Devi guardarlo con del gelato… Sì, gelato e un paio di amici.
Cosa ti piace e cosa non ti piace dell’essere umano contemporaneo?
Gli esseri umani contemporanei… penso che le persone siano sempre le stesse, ma cambiano i mezzi con cui si esprimono. L’unica cosa che davvero non approvo e che, purtroppo, è una tendenza quasi globale, è la rappresentazione che le persone danno di sé sui social media, in particolare in questa schifosa moda della “performance artistica”. Vorrei che quella gente smettesse, soprattutto gli artisti, di mettere su la propria canzone, come se fosse l’annuncio di una macchina in vendita, e dire: “Ascolta questo ritornello”. E quando lo ascolti è terribile: “ugh, stai zitto!”. Proprio non mi piace la molta falsità; lo so, sembra generico, ma in particolare tra le persone che si promuovono online c’è molta falsità. Vedi la loro foto online e poi li vedi dal vivo e la discrepanza ti fa rabbrividire.
Cosa ne pensi del fatto che Bob Dylan abbia vietato tutti i cellulari durante i suoi concerti?
Penso che questo sia un estremo. Se voglio fare un video, dovrei poterlo fare. Certo, c’è chi guarda solo il telefono e non il concerto. Credo che, se volessi raccontare a qualcuno un concerto, la storia che potrei narrargli sul live appena visto sarebbe un miliardo di volte migliore di qualsiasi video che potrei girare. Va bene fare un video, uno… non filmare l’intero concerto!
Qual è la domanda che vorresti ti facessero durante un’intervista e che nessuno ti ha mai fatto?
Non ne ho idea. Non lo so. Sono un grande nerd dello spazio, quindi forse qualcosa a riguardo.
Qual è una cosa che ti dà proprio sui nervi?
L’aggressività passiva. L’aggressività passiva è la cosa che odio di più. Sì, è il peggio. Si dà la colpa senza incolpare direttamente: “ehi, non stiamo risolvendo nulla!”.
Quali sono le tue aspettative?
Per questo live? Non ho aspettative. In questo modo, se ci saranno solo dieci persone, non rimarrò deluso.
Il loro live è stato fantastico. Tantissima energia e buone vibrazioni. Fortunatamente non faceva troppo caldo e… il computer non si è surriscaldato! Vi metto anche un po’ di foto che ho fatto durante la loro esibizione. Spero di incrociarli nuovamente molto presto, mi sono piaciuti tantissimo!

Smemorato sognatore incallito in continua ricerca di musica bella da colarmi nelle orecchie. Frequento questo postaccio dal 1998…
I miei 3 locali preferiti:
Bloom (Mezzago), Santeria Social Club(Milano), Circolo Gagarin (Busto Arsizio)
Il primo disco che ho comprato:
Musicasetta di “Appetite for Distruction” dei Guns & Roses
Il primo disco che avrei voluto comprare:
“Blissard” dei Motorpsycho
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso:
Parafrasando John Fante, spesso mi sento sopraffatto dalla consapevolezza del patetico destino dell’uomo, del terribile significato della sua presenza. Ma poi metto in cuffia un disco bello e intuisco il coraggio dell’umanità e, perchè no, mi sento anche quasi contento di farne parte.