Con il cuore nei Sixties, Grand Drifter ha esordito con il suo debut album “Lost Spring Songs” (Sciopero Records, 2018 – per la produzione artistica di Paolo Archetti Maestro degli Yo Yo Mundi) imponendosi immediatamente tra i nomi più interessanti della scena indie-folk italiana (tra Old Fashioned Lover Boy e The Heart and The Void etc…) con un cantautorato gentile, delicato ed introspettivo: emozioni filtrate da un pop-indie-folk di testi immediati che spesso richiamano immagini semplici ma dense di significato. Abbiamo recensito il suo disco e poi abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui parlando della sua musica, Beat Generation, Spotify e molto altro. Qui sotto, dunque, troverete la recensione di “Lost Spring Songs” e a seguire l’intervista. Buona lettura.

 

RECENSIONE

È Andrea Calvo, voce, chitarra, pianoforte e non solo, ma noi lo conosciamo come Grand Drifter. “Lost Spring Songs” è il suo primo album uscito per Sciopero Records/Self, prodotto da Paolo Enrico Archetti Maestri (Yo Yo Mundi). Un po’ pop 60’s e un po’ folk, accordi in minore, 12 tracce con tanto di breve reprise di The Baloon’s Boy sul finale. Con svariati riferimenti ad artisti a lui cari, nello specifico Beatles e Elliott Smith, Grand Drifter si ritaglia un suo spazio all’interno di una dimensione fiabesca dove le emozioni possono ripetersi infinite volte. «Spesso ho trovato ispirazione immaginando che le mie canzoni fossero prese da un disco inedito dimenticato e riscoperto a posteriori», racconta Andrea Calvo. All’interno di questo album intimo, morbido e riflessivo, ci sono immagini limpide, semplici, ma pur sempre cariche di forti significati. Questa è la chiave di Grand Drifter che, così facendo, colpisce dritto al cuore mandando a fanculo filtri e fronzoli vari. La copertina del disco, un equilibrista, quello stesso equilibrista che ci è raccontato nella seconda traccia del disco, Circus Days. Una sicurezza, sì, forse solo temporanea, uno stato d’animo, la fragilità umana che acquisisce d’improvviso un volto, un continuo dinamismo e l’incessante desiderio di riscatto. The Baloon’s Boy, un assaggio, una partenza cauta che si fa sempre più viva e intensa esplodendo nel corso dell’album, tanto da arrivare al punto che la tua reazione sarà “I need to know what’s going on” (Lost Sping Song). Il viaggio all’interno dell’album di Grand Drifter è un viaggio senza meta. Forse ti sembrerà un percorso all’interno di te stesso incorniciato da un boom di emozioni niente male.

Camilla Campart

 

 

INTERVISTA

Che cosa significa Grand Drifter? Come ti saresti potuto chiamare se non così?

Se dovessi tradurre letteralmente, forse “Grande Vagabondo”, però il significato è più sfumato. È un nome che “suona”, e il bello è che ognuno lo identifica come vuole. Ho tirato fuori il termine “drifter” da un elenco di tipologie di vagabondi americani che avevano affascinato la Beat Generation: quello che salta sui treni, quello che vive unicamente sulla spiaggia… Il drifter è più lo sconosciuto misterioso che arriva in un posto, se ne sta un po’ e poi riparte così come era arrivato. È un vagabondo ok, ma con stile. Soprattutto Grand Drifter non è uno pseudonimo, è il nome che ho voluto dare al contenitore delle mie canzoni.

Il tuo è un genere abbastanza atipico in Italia. Come lo definisci? Ci sono altri in Italia che fanno il tuo stesso genere? Chi? Sei a contatto con altri artisti della scena?

A mio avviso in Italia credo ci sia una grande difficoltà nel proporsi in inglese per via di qualcosa che assomiglia molto ad una chiusura verso l’esterno. E nel 2019 secondo me è un grosso limite che abbiamo. Tutte le chiusure non portano mai a cose buone. Io definisco quello che faccio Pop-Folk: mi va bene, ed è così per molte cose, anche se poi non mi ritengo un folksinger per forza. Le cose sono sempre più belle viste sotto la superficie e senza troppe etichettature. Ho un grande interesse prima di tutto per la melodia, per cui non so, alla fine credo di essere un autore di canzoni, un “songwriter”. In Italia ho avuto l’occasione di conoscere personalmente due musicisti assai bravi: Michele Sarda (Neverwhere) e Stefano De Stefano (An Early Bird). Michele l’ho conosciuto attraverso il suo bellissimo disco tempo fa e poi ha cantato in “Lost Spring Songs” in due brani (Human Noise e Listen To The Soul). Stefano lo apprezzavo e seguivo già dai tempi dei Pipers, la sua band precedente, così come ora da solista. Mentre un altro della scena italiana che mi piace parecchio è Alessandro Panzeri, Old Fashioned Lover Boy.

Ci fai una playlist di 5 brani che identifichi le influenze del tuo progetto? Ci sono influenze o suggestioni che non sono musicali?

Eh, che domanda difficile! Cinque sono pochissimi! Che dire, allora guardiamo ai grandissimi, alle fonti davvero imprescindibili, le canzoni per le quali posso tranquillamente commuovermi:

The Beatles: Strawberry Fields Forever
Elliott Smith: I Didn’t Understand
Tim Buckley: Phantasmagoria in Two
John Lennon: Oh My Love
Chris Bell: I am the Cosmos

Moltissime suggestioni provengono poi da quello che leggo: frasi, immagini, cose estrapolate e ricucite dentro le liriche di una canzone nuova. Tutto può essere stimolante per arrivare ad una canzone. Anche un libro di fotografie, un fumetto, o un sogno ricordato al mattino. Amo molto i racconti e la narrativa, ma se dovessi dirti un libro per me imprescindibile sarebbe “Orientarsi con le stelle”, l’antologia di poesie di Raymond Carver.

Come ascolti la musica? Su che piattaforma? Cambia il modo di ascoltare la musica da musicista?

Per me è di vitale importanza acquistare e possedere fisicamente musica, avere l’oggetto dell’ambito desiderio tra le mani, più che il suo surrogato. La musica è qualcosa che serve ad appassionarsi, ad emozionarsi, e dimmi: quante volte ci emozioniamo oggi? È così raro! Per cui sono sempre soldi ben spesi, è la possibilità di acquistare un vero sogno, tenerlo tra le mani, una meraviglia che possiamo riprodurre per noi stessi. Ascolto musica ogni volta che posso, certamente anche in streaming o in mp3 ovviamente. Oppure sai quante volte mi perdo su YouTube a cercare demo e outtakes dei miei autori preferiti? Però l’ascolto vero di un disco per me è attraverso lo stereo: siano vinili o cd. Mi piace quello che sta nel mondo reale, come ti ho detto conta se riesco ad emozionarmi. Solo così una musica attira la mia attenzione, in seguito poi mi soffermo sulla scrittura, su come funziona il pezzo: melodia, armonia, suono, architettura delle parti… C’è sempre da imparare se un pezzo è scritto davvero bene, e il mio ascolto “da musicista” è un po’ questo.

“Lost Spring Songs” è il tuo debut album, ma cosa è successo prima? Ci parli della tua collaborazione con gli Yo Yo Mundi e della Sciopero Records?

La musica c’è sempre stata, fin da bambino, con il pianoforte, la chitarra e anche un po’ di batteria. Ho fatto studi “seri”, e avere una minima conoscenza di scrittura e armonia certamente mi ha aiutato. E ho sempre suonato, anche se mai proponendomi in prima persona. L’esperienza più significativa è stata proprio in tour con gli Yo Yo Mundi, come tastierista e chitarrista. Sono laureato in Architettura e ho svolto tale professione per anni, per cui è poi solo sulla lunghissima distanza che sono arrivato ad un disco, ma va bene così, ogni cosa necessita del suo tempo, no? Dopo avere accumulato tantissimo materiale ho maturato l’idea di un disco, che fosse corrispondente ad una precisa idea di scrittura e di suono, e che ho portato a compimento grazie a Paolo Enrico Archetti Maestri, che degli Yo Yo Mundi è leader e songwriter. Una cosa con un grandissimo legame umano oltre che musicale, che dura da anni (Paolo ha tutti i miei demo, anche quelli che non ricordavo di avere fatto…). Il passo verso la loro etichetta Sciopero Records è stato importantissimo e piuttosto naturale: mi ha consentito di dare al prodotto la solidità che deriva dall’essere parte di un catalogo importante di dischi e progetti, e anche se vogliamo “fisica” e distributiva nei negozi e digital stores, attraverso la Self s.r.l.

Come è stato registrato quest’album? Aneddoti dallo studio? Strumentazione?

Questo album è stato registrato lungo quasi due anni. E i motivi sono semplicemente in parte concreti e in parte più legati alla mia necessità di trovare la giusta dose di sicurezza interiore, al non voler essere superficiale. Ho utilizzato il nuovissimo studio degli Yo Yo Mundi (chiamato Suoni & Fulmini), a pochi minuti da casa, con la produzione di Paolo Archetti Maestri e di Dario Mecca Aleina, ingegnere e tecnico del suono eccezionale. In grado di interpretare con soluzioni concrete le mie approssimative richieste: mi piace ripetere che era davvero come avere avuto di fianco George Martin! Nel disco hanno suonato moltissimi musicisti e amici, e io in prima persona chitarre, pianoforte e molti altri strumenti. In linea di massima l’idea è stata quella di creare un ambiente diverso per ogni brano, utilizzando tutti i colori possibili e giocando attraverso le strumentazioni e le suggestioni, cui non abbiamo mai posto limite. Mellotron, ghironda, sitar, glockenspiel, moog, bouzouki, harmonium indiano, campane, fischio… Se il disco è in equilibrio tra acustico ed elettrico, in realtà c’è molta più complessità e stratificazione.

E dopo quest’album? Quali sono i tuoi progetti? A quando un tour?

I miei progetti sono una vita semplice, serena e appagata con la mia compagna, riuscendo a fare musica in maniera sostenibile alle mie forze e capacità, e conservando l’equilibrio raggiunto. Oggi la musica non è che sia più così tanto al centro dell’attenzione, quindi avere pubblicato un Cd che corrisponde ad una propria idea musicale nell’oceano senza confini delle uscite discografiche di oggi, è già di per sé un successo. E se viene apprezzato, poi, è un grandissimo successo. Ci sono state tante recensioni dagli addetti ai lavori, tutte assai positive, che mi hanno colto di sorpresa e dato maggior sicurezza. Mi ritengo tutti i giorni grato e fortunato per tutte queste cose. Dopo quest’album ce ne sarà un altro sicuramente, non mi mancano le canzoni, non smetto mai, è qualcosa che appaga la propria esistenza. E nel frattempo porto in giro “Lost Spring Songs”, chitarra acustica e pianoforte, promuovendolo da solo con showcase in negozi e librerie e, ovviamente, laddove riesco a trovare concerti. I concerti per adesso sono pianificati di volta in volta, più che un vero e proprio tour. Comunque è tutto sulla mia pagina Facebook: lì ci sono aggiornamenti continui, e informazioni varie. Per cui: seguitela.

La domanda che non ti ho fatto ma che avrei dovuto farti?

Le hai fatte tutte, ma allora ne aggiungo una: Dove possiamo trovare il tuo Cd?”. Lo potete trovare in tutti i maggiori stores (Amazon, IBS, LaFeltrinelli, Mondadori etc.), nei negozi di dischi (eventualmente richiedetelo, che ve lo fanno arrivare), sul sito della Self distribuzione, o scrivete direttamente a me e ve lo spedisco volentieri!