Da selvagge amazzoni a misteriose streghe il passo è breve. Precisamente le Goat Girl ci hanno messo solo un lustro per compiere la loro evoluzione. La rabbia stridente del singolo d’esordio Country Sleaze / Scum, che tendeva al movimento riot grrls, si era già affievolita nel full lenght d’esordio dal titolo omonimo, affascinante guazzabuglio fra sperimentazione e classicità british, e giunge oggi a completa maturazione con questo “On All Fours”.

Il salto compiuto è impressionante, nella ritmica il percorso fatto si avvicina a ciò che in passato era stato proposto dai Clash di “Sandinista”, mentre nelle melodie e nell’utilizzo di chitarre, synth vari ed elettronica ai Radiohead di fine millennio. L’atmosfera rarefatta, fra il sogno e l’incubo (più spesso l’incubo), dona ancora più fascino ai tredici brani qui proposti.

Numi manco troppo nascosti sono band provenienti dal ricco underground eighties, il più strambo e convincente, dalle sincopi dei Talking Heads alla follia tribale dei Bow Wow Wow passando per il dark dei Virgin Prunes. Il tutto efficacemente riletto in animo post-punk (i sempre più citati, almeno in Inghilterra, Fall) e con una strizzatina d’occhio alle stonature affascinanti di Captain Beefheart o Tom Waits.

“On All Fours” non è un disco facile, ma ad ogni ascolto si impara ad amarlo un po’ di più. Ecco quindi che basta poco a considerare un ottimo singolo la delicata apertura di Pest From the West o le atmosfere dark di Badibaba. Coraggioso e pienamente riuscito è poi lo strumentale Jazz (In The Supermarket), ambizioso il pop sghembo di P.T.S.Tea, esaltante il western rock sui generis di Sad Cowboy, così come la distorta The Crack, rilassante l’intima Anxiety Feels, epica la cavalcata di Where Do We Go. La conclusione affidata a A-men è semplicemente bellissima.
Se è vero che la violenza delle origini è sempre pura e genuina, forse sono ancora meglio gli incantesimi di questo nuovo corso della band londinese.

Andrea Manenti