Chi ha amato e ama Giorgio Poi, sicuramente avrà aspettato questo disco con l’impazienza di quando da bambini si aspettava Babbo Natale. Bene, il disco è arrivato. Spero, però, che abbiate ancora qualche regalo di riserva da scartare e con cui emozionarvi davvero.

Fin dal primo ascolto, infatti, sembra mancare qualcosa. Forse i riff di L’abbronzatura, forse le atmosfere di Acqua Minerale, o semplicemente i pazzeschi giri di basso che rappresentavano, per i brani, una struttura ossea davvero solida e accogliente per chi si imbatteva nel loro ascolto.

Ok, probabilmente se fosse stato coerente con il precedente disco e le precedenti sonorità, avremmo accusato Giorgio Poi di mancata evoluzione e di noia nel propinarci sempre la stessa roba. Ma qui si parla di altro. Va bene l’evoluzione e va bene spostarsi dal punto di partenza, ma solo a patto di imboccare una direzione interessante e, magari, lontana dalle mode.

Si parte con Non Mi Piace Viaggiare, che sembra voler creare un ponte con i precedenti brani, ma con Ruga Fantasma si comincia già a sfumare verso una leggerezza da film italiani del sabato pomeriggio su Italia 1, quelli del primo Muccino per intenderci. È davvero questo quello di cui ha bisogno La Musica Italiana dopo gli anni ’90?

Chi si imbatte in un disco di Giorgio Poi, non può non apprezzarne la scaltrezza nel suo modo di fare musica e riconoscergli quel quid che gli ha permesso di distinguersi e di non finire nel confuso calderone dell’Indie.

In “Smog”, però, sembra mancare lo spessore che, ad esempio, si ritrova nei suoi lavori di produzione, come il disco di Francesco De Leo, “La Malanoche”, piccola chicca che ci ha restituito il sapore prezioso del Connan Mockasin di “Jassbusters”.

“Smog” è un disco che, in maniera precauzionale, in copertina dovrebbe riportare il consiglio di un ascolto reiterato, forse solo utile a percepire maggiori sfumature e dettagli interessanti, ma che non farebbero comunque cambiare idea sul risultato. Un disco che dopo ripetuti ascolti appare come “una stella che brilla, ma – che in fondo – è più un pezzo di ferro con su scritto Easy Jet”.

Insomma, un disco che si aggiudica la sufficienza grazie all’amore per l’artista, ma che nel concreto ha solo il bello di poter rappresentare una colonna sonora di nove brani lodevoli di un timido applauso da canticchiare in bici al primo sole pallido. E se non basterà, Fa Niente, ritorneremo ad ascoltare i vecchi brani, Semmai.

Renato Murri