Milano, 2 settembre 2019
Mark Oliver Everett ha un fascino ambiguo che lo rende un’icona. È un bastione carico di buoni strumenti per combattere una quotidianità tragica e decadente. La vita gli ha insegnato che per non cadere bisogna difendersi. Bisogna costruirsi una bella armatura, custodirla in un armadio e indossarla non appena metti fuori il becco.
Mentre attendo la sua comparsa sul palco del Circolo Magnolia, lo immagino nel backstage intento a prepararsi. Eccolo lì, pronto a trasformarsi in Mr.E in cinque semplici mosse. Uno sguardo allo specchio, l’occhio a mezz’asta, e per prima cosa infila una giacca di jeans nonostante la temperatura estiva. La seconda mossa è il risvolto ai pantaloni. Non la classica linguetta accennata lungo l’asola, ma un risvoltone di quindici centimetri da far invidia al più convinto degli hipster. Poi è il momento del cappello nero tipo bombetta, mi raccomando ben schiacciato in testa. L’occhiale da sole è il quarto step, con le lenti tonde e scurissime. Infine una pettinata alla barba, con i baffi drittissimi all’ingiù, le labbra coperte.
Perfetto, è tutto pronto per iniziare. Ah no, manca qualcosa. Manca un’arma con cui stupire il pubblico. La chitarra non basta, e nemmeno il tamburello. Ci vuole una tromba da stadio. Sì, come quelle che vendono fuori da San Siro. Mr.E la stringe in pugno e fa il suo ingresso sulle note di Gonna Fly Now, la gloriosa colonna sonora di Rocky. Stretto nella sua giacca di jeans, il musicista americano guarda verso l’idroscalo e caccia tre strombazzate per suonare la carica. Alle sue spalle si schierano gli altri tre Eels: chitarra, basso e batteria sono ai blocchi di partenza. Si comincia.
L’introduzione è di quelle che non ti aspetti. Tre cover su tre con Out in the Street degli Who, Mississipi Delta di Bobbie Gentry e Raspberry Beret di Prince, una delle massime fonti d’ispirazione dei primi lavori. Poi si passa al repertorio originale, a partire da Bone Dry, singolo dell’ultimo album “The Deconstruction”, e la bellissima Flyswatter, dal capolavoro “Daisies of the Galaxy”. I testi di Mr.E tradiscono tutta la sua fragilità. Dalle note malinconiche di I Need Some Sleep si passa rapidamente a Prizefighter, ma il blues, per sua stessa vocazione, non fa altro che accentuare i tratti più spigolosi del nostro “beautiful freak”.
«Life ain’t pretty for a dog faced boy», sbraita Mr.E accompagnato dal suo ottimo trio, ma è evidente che la frustrazione non si scaccia alzando la voce. Per portare a casa la vittoria non bastano più l’armatura, la trombetta da stadio e la barba ben pettinata. È necessario aggiungere una patina di gioia. Serve una sana risata che nasconda la polvere sotto il tappeto a colpi di endorfine.
Così Mark Oliver Everett si trasforma in un comico. Sente di potercela fare, è in vena di battute, e dal cappello sfodera un’ironia pungente, beffarda, corrosiva. Alterna sorsate di vino a balletti impacciati e sbilenchi, sembra Charlie Chaplin ne Il Nottambulo. Si prende il palco e si finge un guitar hero. Impedisce ai suoi compagni di band di avanzare verso il pubblico e raccogliere gli applausi («Chi ti credi di essere? Mick Jagger?», urla al chitarrista). E poi, dopo trenta secondi di silenzio con lo sguardo rivolto in platea, elegge uno spettatore come il sosia di Charles Manson e gli dedica una cover di Helter Skelter nell’euforia generale.
Un vero spettacolo, insomma, che procede benissimo con Today is the Day, Tremendous Dynamite e Souljacker Part I, durante la quale la band improvvisa una sfilata da tappeto rosso. C’è spazio per gli inni generazionali, da Novocaine for the Soul (riarrangiata in modo poco riuscito, per la verità) a My Beloved Monster, ma anche per Fresh Feeling, una Dirty Girl in versione ballad e I Like Birds in chiave punk. L’encore è affidato al classico Mr.E’s Beautiful Blues e alla cover di Love and Mercy di Brian Wilson.
Ma al di là della scaletta, a colpire è l’impalcatura surreale che Mr.E riesce a costruire durante i suoi live. L’intelligenza emotiva con cui nutre il pubblico (e se stesso) delle illusioni necessarie per tirare avanti. Martellate di stile che l’hanno scaraventato sui palchi di tutto il mondo dopo un’adolescenza trascorsa da solo nella sua cameretta. Un musicista alienato, introverso, consumato dalla disperazione per le tragedie vissute in famiglia, eppure così coraggioso di affrontare la giungla là fuori. Una maschera tragicomica e una penna sublime. Mr.E è il nostro guerriero indie-rock contro la solitudine esistenziale.
Paolo
L’immagine di copertina è tratta da mcr.live
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Mi racconto in una frase:
Gran rallentatore di eventi, musicalmente onnivoro, ma con un debole per l’orchestra del maestro Mario Canello.
I miei tre locali preferiti per ascoltare musica:
Cox 18 (Milano), Hana-Bi (Marina di Ravenna), Bloom (Mezzago, MB)
Il primo disco che ho comprato:
Guns’n’Roses – Lies
Il primo disco che avrei voluto comprare:
Sonic Youth – Daydream Nation
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso:
Ho scritto la mia prima recensione nel 1994 con una macchina da scrivere. Il disco era “Monster” dei Rem. Non l’ha mai letta nessuno.