Qualche giorno fa Vasco Brondi ha annunciato la fine de Le Luci della Centrale Elettrica, lo pseudonimo sotto cui si è celato per dieci lunghi anni. L’annuncio ha suscitato reazioni contrastanti. C’è chi ha apprezzato la scelta definendola coerente e chi invece non ne ha compreso il senso. Il dibattito, naturalmente, si è esteso anche tra di noi di indie-zone. Qui sotto vi proponiamo le posizioni differenti di due nostri collaboratori: una lettera e qualche pensiero sparso.

vasco brondi con la barba

Caro Vasco Brondi,

ti scrivo.

Così non è che mi distraggo un po’, ma almeno, siccome sei molto confuso, più forte ti confonderò. Metto subito le mani avanti: a me tu piaci. Pure parecchio. Ho ascoltato Le Luci della Centrale Elettrica fin dagli inizi, ti ho sempre sbirciato con interesse, non nego che ho fatto giorni interi con solo la tua voce nelle orecchie. Perciò, caro Vasco Brondi, spero che perdonerai la mia appartenenza a un ordine professionale, il mio essere giornalista: insomma una, per tua stessa ammissione, «ignorante come le capre». E spero soprattutto che perdonerai il mio ardire nell’esprimere quello che penso sulla tua roboante decisione di mettere la parola fine al progetto delle Luci.

Ecco. Parliamone, Vasco Brondi. Stai chiudendo un progetto del quale, nei fatti e anche qui per tua stessa ammissione, hai sempre fatto parte solo tu. Non un gruppo, non un ensemble, non qualunque altro agglomerato di persone. Tu. Tu e chi ti andava di far giustamente suonare con te di volta in volta.

Ergo, esattamente: di cosa stiamo parlando?

«È arrivato il momento di alleggerirsi, di ripartire in altre direzioni e di farlo senza questo nome, credo sia rispettoso non utilizzarlo solo come sostegno o scudo». Allora, caro Vasco Brondi, mi permetto di suggerirti di correre pure all’anagrafe, con la stessa serenità che dici di avere in questo momento, e cambiarti il nome di battesimo. Che in Italia si sa che vuol dire solo una e una sola cosa.

«Sento che sono cambiate tante cose e che è arrivato il momento di fare spazio ad altro, per la bellezza e la follia di ricominciare». Ok, Vasco Brondi. Ne siamo sinceramente felici per te, davvero, col cuore. Anche perché i cambiamenti nella vita di un’artista sono linfa vitale, e tendenzialmente portano sempre alla conquista di nuovi orizzonti. Proprio per questo allora ti chiedo: perché cambiare il nome? Perché chiudere il tuo progetto comporta essenzialmente solo questo, poche balle. E tu davvero pensi che domani, dopodomani, tra cinque dischi, nessuno ti citerà più come quello delle Luci della Centrale Elettrica? Te lo dico io, Vasco Brondi: accadrà. Accadrà in continuazione. «Che ci fregano sempre», ricordi?

E con il massimo affetto possibile, caro Vasco Brondi, ti dico anche che alla luce di tutte le cose bellissime che ti stanno per succedere – il tour nei teatri, il libro in uscita – e che succederanno con il nome de Le Luci della Centrale Elettrica, tutto codesto bailamme suona un po’ come una paraculata bella e buona per far parlare di te. E questo, davvero, non ti fa onore. Anzi, peggio: rischia di farti passare per quello che in dieci anni non è mai stato lecito pensare che tu fossi. Perché i successi e i riconosimenti che hai ottenuto non te li ha regalati nessuno, ma te li sei sempre guadagnati con onore sul campo.

Hai davvero fatto qualcosa di unico, e anche degno di nota. Perché ora scadere in questo? Perché prenderne le distanze con una boutade che non avrà nessuna conseguenza sostanziale sulla tua carriera? «Non sai ancora spiegarti il motivo», dici ancora tu stesso. E allora, se non te lo sai spiegare tu, come puoi pretendere che gli altri lo capiscano? E non perché siano per forza tenuti a capirlo, ma perché nel grande globo onnivoro che si chiama comunicazione, se sei un personaggio pubblico – e tu, caro Vasco Brondi, che ti piaccia o no lo sei – le tue azioni provocano reazioni.

Per ora la chiamerai felicità… Ma so, caro Vasco Brondi – e tu sai meglio di me e di chiunque altro – che quello che hai voluto chiudere non lo chiuderai mai, men che meno con un post su Facebook. Te lo porterai sempre addosso. In qualunque modo sceglierai di chiamarti, che sia Vasco, Vascobrondi, Luther Blissett o chissà come. E soprattutto se lo porterà dentro chi in questi anni ti ha ascoltato, ascoltato davvero. E che oggi ti guarda col sopracciglio un po’ alzato, e sì, lo ammetto, con un po’ più di diffidenza.

Federica Artina

 


 

vasco brondi giovane

Tanti anni fa ero nella cameretta di un’amica che amava i Pink Floyd. Mi mostrò un vinile ancora incellophanato dicendomi: «Questo è l’ultimo e io non lo ascolterò mai». Era “The Final Cut”, e così vi ho svelato di che anni sto parlando.

Giorni fa Vasco Brondi ha annunciato la fine de Le Luci della Centrale Elettrica e l’uscita di “2008/2018 – Tra la via Emilia e la via Lattea”, il suo ultimo lavoro. Perchè questa mia associazione? Perchè credo che qualcuno meglio di altri sappia rappresentare il proprio tempo, e che qualcuno, semplicemente, emigra quando cambia la stagione.

Figlio e nipote legittimo della tradizione cantautorale italiana, Vasco Brondi è stato il menestrello con la chitarra che canta con belle parole i disagi e le speranze della propria generazione. Semplificando, prima era la politica dei nonni, poi la generazione di sconvolti che non han più santi né eroi di un altro Vasco, ed ora il nipote, quello delle Luci della Centrale Elettrica.

Io l’ultimo disco l’ho ascoltato e lo metterò nel tempietto insieme ai cd, i libri, la maglietta ed i biglietti di tanti concerti visti. All’interno della copertina, in corsivo, Vasco scrive la sua bellissima «gratitudine e ricordi sparsi» per salutare questa sua esperienza decennale. Io, in maiuscolo, lo voglio ricordare con i suoi versi che mi sono piaciuti di più, sicuro che tanti ne mancheranno nell’elenco:

ROVISTANDO TRA I FUTURI PIU’ PROBABILI VOGLIO SOLO FUTURI INVEROSIMILI. PORTAMI A BERE DALLE POZZANGHERE. LAVARSI I DENTI CON LE ANTENNE DELLA TELEVISIONE DURANTE LA PUBBLICITA’. CON LE NOSTRE DISCUSSIONI STERILI SI ARRICCHISCONO SOLO LE COMPAGNIE TELEFONICHE. INVIDIARE LE CIMINIERE PERCHE’ HANNO SEMPRE DA FUMARE. E I TUOI CAPELLI CHE SONO FILI SCOPERTI CHE SONO NASTRO ISOLANTE. CHE NON CAPISCI GLI INCUBI DEI PESCI ROSSI. CON ME NON DEVI ESSERE NIENTE. NOI SIAMO EGOCENTRICI COME I GATTI SCAPPATI DAI CONDOMINI. FACEVI RISORGERE I BINARI MORTI E RICUCIVI I POLSI A TUTTI.

SVENTOLEREMO LE NOSTRE RADIOGRAFIE PER NON FRAINTENDERCI. E PER STRUCCARTI USERANNO DELLE NUVOLE CARICHE DI PIOGGIA ADESSO CHE SEI FORTE CHE SE PIANGI TI SI ARRUGGINISCONO LE GUANCE. E SEMPRE COME UN AMULETO TENGO TENGO I TUOI OCCHI NELLA TASCA INTERNA DEL GIUBBOTTO. ADESSO CHE QUANDO CI PARLIAMO I NOSTRI ALITI FANNO DELLE NUVOLE CHE FANNO PIOVERE. A FORZA DI FERIRCI SIAMO DIVENTATI CONSANGUIGNI. COME LE PORTIERE SBATTUTE CHE DA LONTANO TI SEMBRAVANO DEGLI APPLAUSI. CI TROVEREMO A CAMMINARE TRA LE FABBRICHE LUNGHE COME L’ORIZZONTE PER UNA CONSTATAZIONE AMICHEVOLE DEL NOSTRO NIENTE E AVREMO GLI OCCHI LUCIDI COME LE MERCEDES. ACCOMPAGNAMI A RACCOGLIERE I PETARDI CHE NON SONO ESPLOSI. TI AVREI PORTATO A NUOTARE DOVE AFFONDANO LE PETROLIERE. METTERANNO IN VENDITA IL COLORE DEI TUOI OCCHI COME DATI STATISTICI. E SE GLI ALBERGHI APPENA COSTRUITI COPRONO I TRAMONTI TU NON PREOCCUPARTI.

SE SOLO ANCHE TU FOSSI STATA DI PLASTICA O DI UN ALTRO MATERIALE STABILE NON DEGRADABILE.

SONO UN INSIEME DI VIOLENZE E DI SPERANZE, SONO UN RUMORE DI SCONTRI E DI FESTE. SEI L’INTERPRETAZIONE DEI SOGNI CHE NON RIESCO A RICORDARMI. FORSE SI TRATTA DI FABBRICARE QUELLO CHE VERRA’ CON MATERIALI FRAGILI E PREZIOSI, SENZA SAPERE COME SI FA. I TUOI DISCORSI ME LI LEGO AI POLSI, FACCIO DEI BRACCIALETTI. MA CI SARO’ IO, ARRIVERO’, FELICE DA FARE SCHIFO E LIBERERO’ TUTTI I TUOI PIANTI TRATTENUTI. QUI DOVE ANCHE LE RONDINI SI FERMANO IL MENO POSSIBILE, QUI DOVE TUTTO MI SEMBRA INDIMENTICABILE.

POSSIAMO ANDARE SULLE STELLE PIU’ LONTANE ANCHE SE LE METROPOLITANE SONO CIRCONDATE. E’ UN SUPER POTERE ESSERE VULNERABILI. TI LEGGERANNO IN FACCIA UNA VAGA IDEA DI FUTURO MIGLIORE. ERAVAMO DIVERSI COME DUE GOCCE D’ACQUA. HO SENTITO LA TUA VOCE IN UNA CONCHIGLIA.

Grazie alle Luci della Centrale Elettrica e buon viaggio a Vasco Brondi.

Massi Marcheselli