La bomba ad orologeria che solamente tre anni fa sembrava pronta ad esplodere grazie al suo tostissimo connubio fra post-punk e versi rap, è stata disinnescata. È un peccato, ma purtroppo dobbiamo già dire addio a quell’irrispettoso folletto biondo chiamato Billy Nomates, nonché alter ego femminile del leader degli Sleaford Mods Jason Williamson, con il quale per ben due volte ha già duettato nel recentissimo passato.

La giovane artista di Bristol si lascia infatti alle spalle il folgorante mood dell’esordio a favore di un secondo album che, pur basandosi sempre su riuscitissimi giri di basso e una batteria in quattro quarti, si abbandona alla melodia e a un concetto di musica fra il pop e l’atmosfera, piuttosto che al punk, con il quale, anzi, non ha più molto a che vedere. La fonte indiretta sono sempre gli eighties, ma l’artista di riferimento è più Madonna che Wendy O. Williams.

Dodici brani un po’ troppo melensi accompagnano l’ascoltatore in una mattinata post rave in cui gli sbalzi sono ben pochi: l’organetto di Roundabout Sadness, la chitarra distorta di Spite (che parte sì in stile Blondie, ma finisce con Kate Bush), l’acusticheggiante Fawner, e la conclusiva Blackout Signal, dove finalmente la voce di Billy esplode in una grinta che nel resto dell’album ha fatto davvero fatica ad emergere. Occasione mezzo persa.

Andrea Manenti