Nella copertina di “Sand”, l’ultimo album dei Balthazar, campeggia l’Humunculus Loxodontus dello scultore olandese Margriet Van Breevort, a testimonianza di «come ci si sente quando si è in una sala d’attesa, obbligati ad attendere, pienamente consapevoli, ma un po’ imbarazzati». Maarten Devoldere, leader della band belga, spiega così la scelta grafica. E aggiunge: «C’è un tema che ricorre in tutte le tracce, l’attesa, l’irrequietezza, l’essere incapaci di vivere il momento o riporre fiducia nel futuro. Siamo arrivati a un punto delle nostre vite in cui dobbiamo considerare tutte queste cose, ecco perché l’album si intitola Sand, perché prende il suo nome dalla sabbia che c’è nella clessidra».

Un disco che rispecchia la condizione di questo tempo-non tempo in cui siamo confinati, e che si discosta piacevolmente dal successo di “Fever”, pubblicato nel 2019. Jinte Deprez e Marteen Devoldeere guidano il gruppo verso un alt-pop sospeso tra innumerevoli richiami funk anni ’80 e una nuova pulizia nell’arrangiamento che mette in luce gli eleganti spunti ritmici di ogni brano. L’equilibrio di queste undici tracce si compone di incisi elettronici, cori in falsetto, interventi di sax e suadenti linee di basso.

I brani sono così bene amalgamati che rendono difficile identificare picchi durante l’ascolto. Il singolo Losers contiene un affettuoso e inaspettato omaggio al nostro Paolo Conte. L’apertura stilistica di On A Roll ricorda l’ampio respiro dell’album d’esordio dei San Fermin. L’album è un susseguirsi di scenografie soul, r’n’b, jazz e dance, ma sempre filtrate dall’abito pop che la band ha abilmente tessuto.

“Sand” sembra chiaramente destinato a esplodere nella dimensione live: quando avremo di nuovo modo di ignorare la sabbia nella clessidra e le sonorità di questo album prenderanno vita, sarà difficile resistergli.

Mattia Sofo

 

Photo Credit: Alexander Dhiet