A quattro anni da “Visions of Life”, i Wolf Alice sono tornati in studio e hanno pubblicato il loro ultimo lavoro, “Blue Weekend”. La band inglese, nei suoi dieci anni di attività, è riuscita a diventare tra le realtà più rilevanti del panorama rock britannico e internazionale, quindi non poteva che crearsi un grande hype attorno all’uscita dell’album. Per registrare il disco la band si è trasferita nelle campagne inglesi nel Somerset, allontanandosi dai contesti dei tour e degli studi (anche la pandemia ha giocato un ruolo rilevante), con il supporto di Markus Dravs (Arcade Fire, Björk, Brian Eno, Florence + The Machine), che ha curato la produzione.
Dopo i temi post-adolescenziali di “My Love Is Cool” (2015) e le battaglie interiori ed esteriori di “Visions Of A Life” (2017), i Wolf Alice sono arrivati a questo nuovo album con un bagaglio di esperienze che ha permesso di lavorare a qualcosa di più ampio ed etereo, quasi a creare le aspettative per l’album della maturità.
Si ha conferma di questo importante passo, focalizzandosi innanzitutto sui contenuti dell’album e sull’universalità dei temi trattati con notevole consapevolezza e sensibilità. Ma a rendere il tutto più efficace è la coerenza della scrittura con la produzione musicale. L’approccio è netto, la band si è in parte allontanata dallo stile che l’ha contraddistinta nei due lavori precedenti, ma solo per regalare nuove e varie atmosfere, che rendono “Blue Weekend” un disco eclettico, ma compatto e soprattutto completo.
Un continuo contrasto tra le melodie fatte di arpeggi, cori eterei e archi che rimandano al dream pop e il suono prepotente del rock. Tutti i brani propongono soluzioni melodiche e ritmiche elaborate, ma di immediata lettura e apprezzamento, navigando tra il mainstream e l’alternative con grande versatilità e sicurezza, e riuscendo comunque a sottolineare l’identità ben definita della band. A dare il fondamentale equilibrio è senza dubbio la voce di Ellie Rowsell, che domina la scena e fa da collante fra tutte le componenti. In ogni brano la cantante riesce a guidare e giocare con i cori e gli strumenti, adattandosi con grande maturità vocale ai diversi “mood” del disco.
I primi tre brani, The Beach, Delicious Things e Lipstick On The Glass, delineano subito il nuovo approccio della band: strutture compositive raffinate e ricercate, caratterizzate da lenti crescendo che alimentano l’intensità emotiva in modo graduale. Se dopo questo inizio per un attimo ci si potrebbe sentire spiazzati e confusi, arriva subito Smile a ricordarci chi sono (stati) i Wolf Alice. Insieme a Play The Greatest Hits, il brano è sicuramente il più energico dell’album e si ispira appunto al desiderio di controbattere chi cerca di etichettare la musica, con la consapevolezza di una band dalle idee chiarissime che sa esattamente da dove è venuta e dove vuole andare.
Prima di ritornare alle sonorità che caratterizzano l’album, c’è spazio per Safe From Heartbreak (if you never fall in love), brano in cui la voce e la chitarra acustica fanno da protagonisti. Si riparte quindi con How Can I Make It OK?, uno dei pezzi più riusciti del disco: altro inno alla sensibilità, non si può che sprofondare nelle sue melodie potenti e allo stesso tempo malinconiche, tra sintetizzatori, voci intrise di riverbero e percussioni serrate. Ma forse la traccia più importante dell’album è The Last Man On Earth (pubblicata anche come singolo), una ballad malinconica che tratta dell’arroganza umana. Il brano è incentrato sul pianoforte e sulla voce di Ellie, accompagnati da una sorprendente sezione orchestrale. L’album si chiude con la doppietta No Hard Feelings e The Beach II (quest’ultimo si collega al brano di apertura): entrambe le tracce presentano il basso come protagonista che accompagna in maniera incessante ma serena alla conclusione del disco.
Tirando le somme, probabilmente questo disco non sarà ricordato come un capolavoro, ma di certo si sente la direzione precisa che il gruppo inglese ha voluto intraprendere, riuscendo ad affermare un’identità solida con un prodotto di sostanza. È sicuramente uno degli album più contemporanei degli ultimi mesi, ma è anche figlio del suo tempo. Parliamoci chiaro, il panorama rock internazionale non vive un momento fiorente, per tanti motivi che non stiamo qui a trattare, e questo pesa tanto in tutte le considerazioni che si possono fare su “Blue weekend”. Allo stesso tempo, però, questo dà ancora più forza all’apprezzamento nei confronti del lavoro dei Wolf Alice: magari non parleremo di pura innovazione, ma sicuramente siamo lontanissimi dal semplice revival.
Giuseppe Maltese
Photo Credit: Jordan Hemingway