Sardegna e Inghilterra, tradizione e modernità: realtà che appaiono opposte, lontanissime e tra le quali difficilmente si riterrebbe possibile un contatto. Ma “Notte”, il nuovo album di Bluem, è proprio quell’anello mancante che riesce a renderle parte di un unico discorso. Un progetto nato nottetempo, e infatti pervaso da una sensazione di forte urgenza comunicativa, con canzoni che prendono il nome dei giorni della settimana, ovvero il lasso effettivo di tempo in cui il disco è stato creato; già il modo in cui si presenta cattura subito l’attenzione, e riesce a mantenere una velato mistero sul suo contenuto.
Le sette canzoni al suo interno raccontano diverse storie, che prendono comunque tutte forma a partire dalla vita dell’artista, in testi introspettivi e spesso malinconici, dove le parole diventano un prolungamento diretto dell’anima della cantante. Il sound del disco, però, per quanto possa sembrare paradossale vista la quantità di elementi differenti entrati in gioco nella sua creazione, non è complesso: chitarre, qualche accordo di piano, basi ripetitive e quasi ipnotiche, come in Domenica, il pezzo che conclude il disco. Resta minimale, ma comunque
coinvolgente per chi ascolta.
Per questo consiglio di sentirlo la prima volta in una sola session. È il modo migliore per riuscire ad entrare in contatto con Bluem, con le sue radici, seguendo tutto il filo logico della sua vita e della sua musica, guidati dalla delicatezza della sua voce. Molto interessante è la scelta di inserire un brano come Venerdì: nel sottofondo risuona la voce della cantante, accompagnando il fluire della canzone, ma la protagonista reale è la voce della nonna, che parla di quanto avrebbe voluto viaggiare ancora di più, dei luoghi che aveva visitato, di come molte persone intorno a lei non fossero neanche mai uscite dal loro piccolo paese, quando fuori da quelle strade c’era tutto il mondo. Un monologo molto breve, ma di grande intensità e in grado di mostrare anche un aspetto più intimo e familiare dell’universo di Bluem, dell’ambiente in cui è
vissuta, aprendo uno scorcio sul passato.
Particolare è anche il lavoro legato all’immaginario: ad accompagnare i brani c’è anche un racconto fotografico in cui la ragazza si confronta con la tradizione sarda tra abiti e maschere tipici del luogo, che acquista un’aurea di misticismo, come se fosse un’isola lontana e irraggiungibile, incomprensibile a chi non l’ha mai vissuta nella sua realtà più profonda.
Un disco unico, impossibile da replicare proprio per il complesso e personale lavoro di modernizzazione e rivisitazione della tradizione; ascoltando un album del genere, si può solo accettare di perdersi nell’atmosfera antica, notturna, che Chiara Floris è riuscita a catturare tra
le note attraverso la sua sensibilità e il suo sguardo.
Lucrezia Lauteri
Dopo il brillante esordio di “Notte”, la cantautrice e produttrice sarda di base a Londra è tornata in questi giorni con un nuovo brano, Fiamme, minimale e raffinato. La canzone si basa su sonorità care ad artiste come oklou e Caroline Polachek, confermando la vocazione internazionale e contemporanea.
Protagonista è una linea di synth, a cui si aggiungono batterie e due bassi, costruiti tra giochi di high pitch\low pitch e armonie, e sample tratti da elementi della natura.
La potete ascoltare qui:
Photo Credit: Jasmine Färling
Mi descrivo in una frase: Instancabile lettrice, appassionata di anni ‘80.
I miei tre locali preferiti per ascoltare musica: Monk (Roma), Largo Venue (Roma), Le Mura (Roma).
Il primo disco che ho comprato: Un “Best Of” degli Iron Maiden
Il primo disco che avrei voluto comprare: The Cure – The Head on the Door
Una cosa di me che penso sia inutile ma ve la racconto lo stesso: Ho un’ossessione per le biografie ed i dettagli inutili delle vite degli artisti.