Per il suo secondo album, Any Other appoggia la chitarra elettrica al muro (mai troppo lontana) e riprende in mano quella acustica; di fianco a lei anche un violino, una tromba, una batteria. La voce è lo strumento dominante. Il primo album era indie-rock puro, con ancora qualche accenno di folk; “Two, Geography”, invece, è quasi quasi puro folk, sperimentale, leggero, ma pieno di parole dal peso non trascurabile. In sé, come album, è più volutamente caotico, più elegantemente impacciato, un esperimento in una direzione che in Italia va ancora esplorata. “Two, Geography” vede Any Other fare il primo passo in quella direzione, aprendo il passaggio sonoro che dall’Italia porta al mondo.
A Grade, la prima traccia, racchiude in sé l’essenza dell’album intero: con accenni di lo-fi, la voce di Adele Nigro prende il controllo assoluto e dirige il suono della canzone. Il testo è semplice, niente di sfarzoso: si tiene stretto al suolo e mantiene a forza i piedi per terra. L’umanità è esposta, nuda e senza imbarazzo: muovendosi tra l’emotività di «paranoia, kilometers», «I should stop wasting time» e la mondanità di «showerhead reminds me that i should fix it», A Grade ricorda a chi ascolta l’inevitabile quotidianità del mondo fuori, di qualunque colore decidiamo di tingerlo. Il pianoforte si introduce di tanto in tanto, pioggerellando note qua e là per la durata del pezzo. La canzone da un momento all’altro si fa più imponente: a voce alta e determinata, Adele insiste: «I should not be thankful if somebody makes me feel like I can’t be loved. / I deserve love». La canzone, e forse l’album intero, sembra un inno alla rinascita, al prendersi cura di sé, al lasciare andare ciò che è nocivo e ciò che, anche se non vogliamo ammetterlo, fa solo male. Alla fin fine è forse una canzone di festa: chitarra acustica, elettrica, batteria e violino si intrecciano. Si celebra la propria libertà, il proprio valore.
Walkthrough si apre con dolcezza, la risata di Adele riverbera nel sottofondo per qualche secondo; chitarra, piano e basso si rincorrono. Il testo, però, rivela un’emozione diversa, e contrasta col ritmo quasi vivace della canzone stessa: «I asked you to crush me as hard as you can / I wouldn’t feel anyhting». L’album, introspettivo e personale, rappresenta anche un tentativo di navigare e tradurre in musica l’esperienza di una relazione malsana, tossica, ma terribilmente inebriante. La batteria e la tromba (forse anche un sassofono?) si aggiungono alla canzone e ne rafforzano le fondamenta, nutrendo la grinta che la traccia già trasuda.
Quasi dal nulla, Stay Hydrated! si fa spazio tra le canzoni e aiuta l’album a muoversi di traccia in traccia. Fuori luogo e allo stesso tempo incredibilmente appropriata, Stay Hydrated! potrebbe essere benissimo un inedito estratto da “Echolocations” di Andrew Bird, mai rilasciato; e invece eccola qui, nell’album degli Any Other. Forse non è una coincidenza che una traccia così breve faccia una comparsa in un album intitolato “Two, Geography”, che, un po’ come “Echolocation”, prende la spazialità della geografia e se ne riappropria per parlare degli spazi e i luoghi interiori, umani, personali.
Traveling Hard è forse la traccia più tradizionalmente indie-rock, che quasi omaggia il primo album, o piuttosto dimostra la maturazione avvenuta tra un album e l’altro. Il cantato di Adele richiama i primi album lo-fi dei Dirty Projectors, in cui l’estensione vocale del cantante è sfruttata al limite, con note acute che si alternano a suoni più gravi e vibrati. Con qualche accenno funk, Traveling Hard gioca coi suoni e non ha paura di slanciarsi nel vuoto per poi risalire, come quando a metà canzone una chitarra elettrica distorta e la batteria prendono il controllo improvviso, solo per qualche secondo, e il suono poi torna alla normalità. Normalità relativa: il ritmo non è convenzionale, le voci si accavallano, tutti gli strumenti sembrano avere la stessa intensità sonora, come se stessero suonando ognuno per conto suo, ma in un’assurda, perfetta armonia. Un mixaggio fuori dagli schemi, che mai dovrebbe funzionare, eppure eccoci qui, con una piccola scintilla colorata in un paesaggio musicale monocromatico.
Il testo di Perkins è forse il più curioso, ma proprio perché impacciato: «I catch myself talking to myself». La frase è quasi cacofonica, ma funziona perché è questa apparente goffaggine, calcolata, che rende “Two, Geography” così stranamente umano e semplice nella sua complessità sonora. Anche su Mother Goose si ritrova lo stesso osceno candore: «God damn I woke up another day to go».
Geography, infine, è la traccia che resta più in testa dopo un’ascolto, e che giustamente domanda: «Do you read the lyrics when you listen to this song?». L’album, che condivide in parte il titolo con la canzone, è proprio questo che ci chiede: di ascoltare, ma come si deve, ogni parola, ogni suono. Con “Two, Geography” gli Any Other si sono confermati come la promessa italiana d’eccellenza; “Two, Geography” concretizza la loro possibilità di trascendere, ironicamente, esattamente i propri confini geografici di origine (quelli veri, non corporei) e di esplorare quello che c’è oltre.
Marta Meazza
Mi racconto in una frase:
Gran rallentatore di eventi, musicalmente onnivoro, ma con un debole per l’orchestra del maestro Mario Canello.
I miei tre locali preferiti per ascoltare musica:
Cox 18 (Milano), Hana-Bi (Marina di Ravenna), Bloom (Mezzago, MB)
Il primo disco che ho comprato:
Guns’n’Roses – Lies
Il primo disco che avrei voluto comprare:
Sonic Youth – Daydream Nation
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso:
Ho scritto la mia prima recensione nel 1994 con una macchina da scrivere. Il disco era “Monster” dei Rem. Non l’ha mai letta nessuno.