Milano, 7 ottobre 2025
Vado dritto al sodo. Any Other, così, non l’avevo mai sentita. Non era la prima volta, anzi. Mi è capitato di vederla dal vivo più o meno ad ogni tappa della sua carriera. L’esordio nel 2015 (un’estate al Carroponte, se non mi sbaglio), nel 2018 al Primavera Sound di Barcellona. E poi in qualche altra occasione, tra Milano, Roma e i Colli Euganei. A volte sola, in acustico, oppure accompagnata, in elettrico. Ma questa sera è stata davvero la sua versione migliore. Intensa, emozionante, bravissima.
Un superlativo meritato, che vorrei urlare ai quattro venti, se non fosse per l’inesorabile timidezza che a volte soffoca i miei slanci. Eppure la voglia di aprire i finestroni dell’Arci Bellezza e invitare i passanti a entrare è molto forte. È anche vero che in sala c’è un silenzio che è un peccato spezzare. Religioso, schierato, devoto. Adele Altro, veronese d’origine, è evidentemente emozionata. Quella di Milano, la sua città adottiva, non è una data come le altre. Sorride piano, sposta spesso i capelli dietro la schiena. Guarda a terra, si volta un poco. Cerca la complicità della band.
Ecco, la band: è questa la grande novità del suo ritorno dal vivo. Sono tutti musicisti con cui Any Other collabora da tempo, a partire dall’inseparabile Marco Giudici al basso. Ma in cinque sul palco, con le due batterie di Alessandro Cau e Nicholas Remondino, unite alle tastiere di Giulio Stermieri, insomma, suona tutto diversamente. Con questa formazione, il carattere percussivo della musica di Any Other sale finalmente alla ribalta. L’estro bucolico e le sperimentazioni art pop presenti soprattutto nei brani di “Two, geography” (2018) trovano spazio in prima fila. Poi, certo, la vera protagonista è la voce di Adele. Potente e fragile allo stesso tempo: corroborante quando si distende, commovente quando all’improvviso si increspa.
Il concerto è lungo (“sembra un live di Springsteen”, scherza l’artista), ma scorre liscio senza cali di tensione. Nella discografia di Any Other, dopotutto, non ci sono canzoni brutte. E quelle scelte stasera sono perfette per l’occasione. Da Walkthrough a Brestbone, fino a A Grade e Zoe’s Seeds. Ottima l’apertura di Second Thought, con il coro a cinque voci, e la resa live delle tracce in italiano (senza scordare quella in giapponese) dell’ultimo Ep “Per te, che non ci sarai più”. Meglio, però, quando Adele canta in inglese. Il brano inedito, Unfolded, suonato stasera a mo’ di esperimento per testarne le potenzialità, sembra procedere su questo solco. Tanto da poterla ancora associare a qualche peso massimo dell’indie folk al femminile come Waxahatchee, Snail Mail o Soccer Mommy.
La conclusione affidata a Sonnet#4, l’unico estratto, mi pare, dal disco di debutto, strappa l’ultimo applauso e anche qualche lacrimuccia. Era già successo, in verità, con Mother Goose, piazzata a metà concerto durante una parentesi di tre brani suonati in solitaria sul palco. In quel caso uno spettatore spavaldo si era lasciato andare in un urlo estasiato: “Che meraviglia, Adele!”. Beh, lo spavaldo aveva ragione, avrei voluto gridarlo anch’io. Se non fosse per quella solita, inesorabile timidezza.
Paolo

Mi racconto in una frase:
Gran rallentatore di eventi, musicalmente onnivoro, ma con un debole per l’orchestra del maestro Mario Canello.
I miei tre locali preferiti per ascoltare musica:
Cox 18 (Milano), Hana-Bi (Marina di Ravenna), Bloom (Mezzago, MB)
Il primo disco che ho comprato:
Guns’n’Roses – Lies
Il primo disco che avrei voluto comprare:
Sonic Youth – Daydream Nation
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso:
Ho scritto la mia prima recensione nel 1994 con una macchina da scrivere. Il disco era “Monster” dei Rem. Non l’ha mai letta nessuno.
