Sono abbastanza convinto che Piccoli Bigfoot sia un artista sottovalutato. Uso il singolare, ma mi scuso, perché visti gli ultimi sviluppi del progetto bergamasco, sarebbe meglio accoglierlo come una vera e propria band. Questo secondo disco, intitolato “Le Origini” e distribuito da Gasterecords, vede infatti la partecipazione di ben cinque elementi, tutti rigorosamente mascherati e peloselli.

Di che cosa si tratta? In buona sostanza ci troviamo di fronte a un’equilibrata miscela fra combat folk, busker punk e cantautorato classico all’italiana. Ovunque si percepisce l’influenza di Tre Allegri Ragazzi Morti, i primi Zen Circus e naturalmente i maestri Violent Femmes. Anche se, negli episodi più distesi e nel graffio tipico della voce di Piccoli, si sente l’eco dell’intramontabile “Vol.1” di Brunori Sas.

Nulla di innovativo, per carità, ma non è questo il punto. Il punto è che sono tutte belle canzoni, scritte bene, frutto di un’intesa e di un entusiasmo che raramente si riescono a cogliere in un disco. I testi sono semplici, ma arguti. Efficacissimi quando si tratta di incollarsi in testa e di attivare la corteccia sinistra. Gli 11 brani de “Le Origini” giocano con la nostalgia e rievocano un passato non necessariamente migliore del presente. La scenografia è quella delle piazze di provincia, la natura incontaminata, i palloni calciati contro il muro, le grandi compagnie.

La dimensione del ricordo trova il suo apice in Acqua e Sapone, che non è una cover degli Stadio ma un inno post-generazionale da cantare insieme agli amici. Qui le radici punk di Piccoli Bigfoot si fanno sentire tutte, anche e soprattutto grazie a un coro che ricorda molto quello di Bonzo Goes To Bitburg dei Ramones. Vita da bar non è da meno: tre accordi tre, in cui Piccoli si erge a re del bancone, appollaiato in posizione privilegiata per compiere un’analisi antropologica del cliente tipo.

Baldoria e goliardia regnano sovrane lungo tutta la durata del disco, comprese le incursioni nel country nostranotto di Psicosi Materiale e la cavalcata per orchestrina, con tanto di fiati, di Palle di Natale. La festa è citata anche in altri due brani apicali come Lettera a Santa Claus e Una nuova canzone. E a proposito di entusiasmo, l’unione fa la forza nel brano Bolle, cantato in compagnia degli amici Jim Mannez e Mike Orange. Canzoni che basterebbe un puff per farle esplodere in una qualsiasi delle playlist indie che vanno tanto di moda oggi. Ma forse non c’è nemmeno la volontà. E va benissimo così.

Paolo