“Mi piace che nessuno di noi sia un tipo rock’n’roll. Siamo spontanei e un po’ ingenui, per questo il risultato è davvero puro. Non c’è grande ragionamento dietro”. Black Francis
Non è difficile immaginare Black Francis, frontman dei Pixies, pronunciare queste parole con orgoglio commentando l’uscita di Surfer Rosa ai microfoni di Melody Maker nel marzo 1988. Sebbene solo pochi leader del momento abbracciassero questa filosofia, e mai si azzardarono ad esprimerla pubblicamente, Francis (nato Charles Michaeal Kittridge Thompson IV) e i Pixies si erano già fatti conoscere nel giro per essere dei giovani controtendenza.
Nella seconda metà degli anni Ottanta, il rock alternativo in America era più facilmente classificabile sulla base dei sentimenti piuttosto che di correnti musicali ben precise. Laddove storie esasperate di alienazione suburbana e drammi sentimentali riunivano nomi quali R.E.M, The Replacements e Hüsker Dü, i potenti dischi d’esordio di Dinosaur Jr e Sonic Youth esplosero in un tripudio di emozioni, passando da atmosfere sognanti a scenari cupi in pochissimi attimi. Come originari di un altro pianeta, i Pixies nascono in Massachusetts, ma sembrano irradiare la loro luce da ben più lontano. Di certo, ci sono alcuni punti saldi che hanno ispirato la band – Iggy Pop, Capt. Beefheart e Zen Arcade – ma sin dagli inizi, questi quattro giovani strampalati hanno definito un sound tutto loro e lo hanno portato avanti senza mai voltarsi indietro.

Sull’onda dell’entusiasmo dopo la pubblicazione di Come On Pilgrim, il loro primo mini-album di otto tracce, il co-fondatore di 4AD Ivo Watts-Russell ha convinto Francis, Kim Deal, David Lovering e Joey Santiago a tornare immediatamente in studio con il supporto dell’allora frontman dei Big Black ed espertissimo Steve Albini.

Molti anni più tardi, Albini ricorderà questo momento in un’intervista con Marc Maron nel 2015: “Ho sentito la cassetta [Purple Tape]. Ho pensato che fosse una band interessante, che avrei potuto lavorare al loro disco e fare qualcosa di buono”.

Il fatto che, ancora oggi, un ascolto intimo di Surfer Rosa ispiri un voyeurismo in un certo senso socialmente accettabile è sicuramente dovuto al contributo di Albini, ma allo stesso tempo celebra la virtù più alta del disco: il suo mood unico e irripetibile. Registrato in più sessioni in circa 10 giorni, Surfer Rosa racchiude in quei preziosi 32 minuti l’essenza di una liberazione notturna, spaziando da momenti di ansia frenetica e incontenibile, interrotti da scatti repentini fino a raggiungere l’anelato sollievo sublime.

Quella che Andrew Earles definisce come un’atmosfera “tematicamente spaventosa”, nella sua piacevolissima guida Gimme Indie Rock, è mediata da un umorismo bizzarro intervallato a idiosincrasie inattese e fugaci (come quell’urletto di Francis alla fine del primo ritornello in River Euphrates, o i vocalizzi distorti all’inizio di Broken Face).

Surfer Rosa dipinge un racconto di impressionismo giocoso e perverso. Mentre le quattro tracce recuperate da Purple Tape descrivono in modo rassicurante lo stile e il modus operandi della band, episodi quali il bilinguismo estremizzato in Oh My Golly!, le distorsioni in River Euphrates e la serenità quasi irritante di Tony’s Theme raccontano il contrasto tra il fervore straziante e la sublime reticenza che caratterizzano questo straordinario lavoro in studio dei Pixies.
Re indiscusso di questi contrasti potentissimi è Black Francis. Surfer Rosa non ha fatto altro che confermare il ruolo iconico di Black Francis, eleggendolo a sola speranza vivente per il modern rock. L’idea di registrare la voce con un riverbero naturale, nel bagno dello studio, fu di Albini e il risultato, semplicemente straordinario.

Nonostante i momenti più bui, i Pixies sembrano divertirsi nel loro acclamato debut album. La decisione di Albini di lasciare andare il nastro incessantemente, catturando così rumori e voci fuori di scena dà all’ascoltatore l’impressione di trovarsi catapultato nella sala prove della band, durante la loro migliore sessione.

Sebbene i membri della band fossero all’oscuro di tutto, quei momenti catturati a loro insaputa ebbero un peso importante nella riuscita del disco. James Iha degli Smashing Pumpkins dirà, “Quelle storielle erano affascinanti e completamente senza senso. Metterle in un disco è un gesto irriverente ma anche geniale, perché attraverso quegli spezzoni ti sembra di poter conoscere la loro personalità, oltre alla loro musica”.

Certo, per sembrare uniti, bisogna essere uniti. Dal momento in cui quell’armonia verrà persa – prima a livello personale e poi musicale – i Pixies perderanno agli occhi di tutto il mondo quel fascino che li aveva resi intoccabili. Se anche tu sei stato così fortunato da ascoltare Surfer Rosa su consiglio di un amico e soprattuto su un supporto fisico reale, come è successo a me, probabilmente porterai ancora con te il ricordo di quel “What the fuck is this music?”. Non ci si stancherà mai di ripeterlo: sebbene gli album successivi dei Pixies continueranno a stupire e sedurre per la loro genialità, Surfer Rosa rimane la rivelazione assoluta. Trent’anni più tardi, il disco resta un inno sfacciato e potente che ha rivoluzionato per sempre le sonorità modern rock che tutti, ma proprio tutti, dai Nirvana, ai Radiohead, da PJ Harvey agli Weezer fino ai Pavement porteranno avanti negli anni successivi. Sebbene la sua vera origine rimarrà per sempre un segreto imperscrutabile, Surfer Rosa è stato senza ombra di dubbio, come dichiarerà Francis, guidato da un solo principio: pura naiveté.

Buon ascolto


a cura di Giulia Fornetti