Siamo andati alla data zero del tour estivo degli Afterhours. Ce li siamo ritrovati lì davanti, sul palco del Postepay Rock in Roma, per il primo live della serie di concerti che celebra il compleanno di una band pilastro del panorama rock underground italiano (e della vostra vita, se state leggendo queste righe). Ci è piaciuto, ci è piaciuto tanto.

Ecco qui dunque i motivi per i quali dovreste andarci anche voi:

1. LA SCALETTA DA URLO

Sì, hanno fatto Germi, e È la fine la più importante, e Bianca, e La sinfonia dei topi. Sì, hanno chiuso con Bye Bye Bombay. Sì, c’erano anche la vostra preferita, che sia Ossigeno o Voglio una pelle splendida, che sia 1.9.9.6. o Quello che non c’è. Non vado avanti per evitare di farvi troppo male.

2. GIORGIO PRETTE

La grande carrambata del tour, il ritorno dello storico batterista. Abbracci, baci e scrosci di applausi per lui. E tanta, tanta qualità nonostante lo stop.

3. MANUEL A TORSO NUDO

Perso, preso, immerso nel concerto, Manuel schiva i tiri mancini che gli giocano chitarra, microfono e pure la memoria a un certo punto a colpi di battute ironiche che ce lo fanno amare se possibile ancora di più. Resta sempre un grande leader, trascinante e inclusivo, autorevole e potente. Riesce a incantarci e a emozionarci come sempre, soprattutto quando preda dell’entusiasmo si toglie la maglietta e inizia a roteare il microfono rischiando di tramortire i colleghi alle chitarre.

4. LA STORIA

Sono trent’anni di carriera, tra salite e discese, tra la nicchia e la massa, tra i club milanesi e X Factor. Questi live sono un punto, perchè è necessario metterne, difficile ma necessario. La chiusura di un cerchio, come ci dice Agnelli. Ma non sono per nulla una fine.

5. LA MUSICA

Perchè gli Afterhours fanno quello sul palco: suonano, non se la tirano, si consumano. Ti mandano scariche di energia pura, nonostante gli intoppi fonico-tecnici (tanti, a onor del vero). E tutti non possono fare a meno di schifarsi sentendo un Calcutta provenire dal bar a fine concerto. Perchè il contrasto è veramente pesante. E meno male, viene da aggiungere.

6. IL MALE AL CUORE, QUELLO SANO

I brividi che salgono ascoltando “Non è per sempre” o “L’odore della giacca di mio padre” sono reali, ogni canzone riesuma un pezzettino di quello che tu eri quando hai iniziato ad ascoltarla, e così ricostruisci la tua storia insieme alla loro. Senza rimpianti o vene nostalgiche dirompenti, ma dando libero sfogo a un attaccamento vero e a un affetto coltivato nel tempo, che supera le mode, gli errori e gli anni.

7. IL CIUFFO DI RODRIGO

Stavamo diventando un po’ troppo sentimentali, quindi torniamo ai bassifondi adolescenziali. Come scuote lui quel ciuffo perfettamente lisciato mentre suona il violino, nessuno mai.

8. IL LOOK DI DELL’ERA

Restando in versione Cosmopolitan, lo style del buon Roberto resta un marchio di garanzia e una consolazione per tutte le volte che pensate di essere usciti di casa conciati in modo improponibile. L’indecisione è solamente sull’ eleggere a miglior accessorio la parure di finti (spero) diamanti sulla giacca elegante violacea oppure il cappello da poliziotto alla Village People su camicia dalle tendenze tropicali.

9. IL FISICO BESTIALE

Due ore e mezza di concerto non le fa più nessuno, ormai. Spesso c’è da ringraziare se si superano i 90 minuti. Eppure sono scivolate via, per noi ma anche per loro. Ventinove brani, brevissime pause, poco fumo e quasi niente birra sul palco: in confronto a loro, il coro dell’Antoniano sembra a un passo dalla perdizione.

10. LA BELLA GENTE

Il pubblico di Agnelli e soci è un pubblico educato. Educato ad ascoltare la musica, a cantarla e ballarla ma senza molestare il prossimo suo (eccezioni che confermano la regola a parte). Ed è un piacere non sentire un “Daje Manueeeel!”gridato a caso ogni tre secondi o non avere la visuale offuscata da nuguli di selfie stick e affini.

 

A cura di Giulia Zanichelli