jesu-sun-kil-moonI Red House Painters di Mark Kozelek non sono mai stati così lontani. Dimenticati, a tratti rinnegati. Difficile accettarlo. Ma è molto più complicato ammettere che due poli opposti possano davvero attrarsi. Del resto l’attrazione è lievemente più forte della repulsione, lo dice la scienza. Solo che a volte la distanza può giocare brutti scherzi. Da tredici lunghi anni Kozelek si è lasciato alle spalle i Red House Painters per tuffarsi di testa nel progetto Sun Kil Moon. In mezzo, una manciata di dischi da solista e una fitta serie di collaborazioni. Ma diciamoci la verità: il connubio tra il cantautore americano e i Jesu di Justin Broadrick, già eroe nei mitici Napalm Death e più recentemente nei Godflash, non lasciava ben sperare. Da un lato la tempesta autoriale di Kozelek, spoken-word spintissimo e tappeto acustico; dall’altro le schitarrate industrial di Broadrick, pioniere del post-metal.

Eppure la strana coppia funziona, si attrae. Come si dice? Una buona alchimia? Pietra filosofale? Sta di fatto che quello con i Jesu non è certo il primo sodalizio a portare buoni frutti in casa Sun Kil Moon. Era già successo tre anni fa con Jimmy LaValle, guru dell’ambient-dream-pop con i suoi The Album Leaf, nell’acclamato “Perils from the sea”. Poi però era arrivato il favoloso “Benji” a prosciugare, scarnificare i preziosi fronzoli che anche il progetto Desertshore aveva costruito intorno alla voce del padrone. Sembrava un ritorno alle origini. Niente da fare. Dopo il deludente “Universal Themes”, Kozelek pare abbia ritrovato il gusto dell’ensemble. Fosse solo per ridare lustro alla sua dilagante logorrea, o forse per celebrare un’amicizia di lunga data.

Il risultato è sorprendente fin dalla prima traccia, “Good morning my love”, sbrodolata metallica di parole e distorsioni. “Candelet” suona più aggressiva e incalzante, mentre in “A song of shadows” la voce di Kozelek prende il sopravvento ed esplode in tutta la sua meravigliosa melodia. Spazio alla drum machine in “Last night I rocked the room like Elvis…” e in “Father’s Day” (feat. Rachel Goswell degli Slowdive), con la mente che torna alla collaborazione con LaValle. L’acustica “Fragile” si racconta da sola, direttamente da “Benji”. Fino a quel pizzico di orgoglio italiano risvegliato da “America’s most wanted Mark Kozelek and John Dillinger”, racconto di un viaggio “on the road from Perugia to Vasto.. fields of sunflowers along the way”. Ma anche nella terra del sole e dei “roman tomatoes”, capita di chiudere gli occhi e sprofondare nei pensieri più tristi (“We played “The Weeping Song” for Nick Cave and his family, the passing of his son has been a daily thing on my mind”). In chiusura, resta un angolo di cuore per “Exodus”.

 

Paolo Ferrari