Milano, 11 maggio 2018

La scaletta del live

Ok, lo ammetto, sono di parte. Ascolto da tempo i Radio Moscow e non vedevo l’ora di godermeli dal vivo. Arrivo all’Arci Ohibò con anticipo sull’orario di inizio e mi ritrovo a chiacchierare con i miei compagni di sventura, quelli con cui ti dai appuntamento per questo tipo di eventi: c’è euforia, ma allo stesso tempo percepisco un po’ di timore, come quando si hanno molte aspettative e si teme che queste vengano disattese.

Ma non sarà questo il caso. Sono le 22:30 circa, la sala si riempie e Parker Griggs e soci salgono sul palco senza dare quasi nell’occhio. Il brano di apertura è New Beginning, prima traccia dell’ultimo e omonimo album. Sin dal primo attacco di batteria di Marrone si sprigiona un vortice di energia seguito dalla furiosa chitarra di Griggs e dal virtuosismo del basso di Meier. Il pubblico apprezza e senza accorgersene viene trascinato da quel ritmo incalzante, da quei funambolici assoli di chitarra e da tanta, tanta potenza, che da lì in avanti contraddistinguerà l’esibizione dei Radio Moscow.

Si continua sempre con il piede sull’acceleratore, i watt sembrano aumentare e la band statunitense sfodera alcuni brani degli album “Magical Dirt” e “Brain Cycles”, toccando sonorità rock blues alternate da sferzate stoner e qualche massiccia dose di psichedelia, lasciando poco spazio a ballate e malinconia. L’atmosfera che si respira è genuina e sanguigna, e al tempo stesso tranquilla. Griggs con la sua Stratocaster si esibisce in assoli che ti prendono per mano e ti traghettano in una bolla spazio-temporale, tenuta sempre viva dall’incessante binomio basso-batteria di Meier e Marrone che deliziano per la loro tecnica sopraffina al servizio dell’estro.

La gente intorno a me (e io con loro) è ormai rapita da questo fluido avvolgente e si muove come galleggiando a mezz’aria, tenendo il ritmo con la testa. È un flusso costante e al tempo stesso mutevole, nel quale si ripetono i caratteri distintivi del power trio dell’Iowa che fa l’occhiolino ad alcuni mostri sacri del passato senza mai cadere nella banalità. Dopo poco più di un’ora e mezza di apnea, il concerto finisce e mi ritrovo sbalzato nuovamente nella realtà, un po’ stordito, come dopo un bel sogno. Decido allora di dirigermi verso il bar a prendere una birra fresca, con ancora quel groove nelle orecchie e un sorriso da ebete stampato in faccia. Bel viaggio!

Stefano Sordoni