Siamo andati all’«Ha-oman Roots of Art» – The First Alternative Arabic Music Festival. Detta così potrebbe sembrare una cosa normale: una serata di musica dal vivo in club, sabato sera in uno dei quartieri più animati di una grande città sul mare, ingresso a pagamento consumazione non compresa, band locali. La scaletta della serata è un ottimo concentrato della scena contemporanea del paese. Generi e personalità piuttosto differenziati, con tutto più o meno influenzato da un sound mediorientale: un po’ di scale in quarti di note, qualche strumento tradizionale, molti no, mix linguistici.
Sembra tutto normale, anzi dovrebbe maledettamente esserlo. Il problema è che normalmente non è così. Non è normale perché siamo a Tel Aviv, città che qualcuno ancora considera capitale dello stato di Israele, e le band in questione sono palestinesi o arabo-israeliane. In questi casi per farsi un’idea della scena musicale locale ci si deve inevitabilmente confrontare con il contesto socio-politico, con risultati non necessariamente negativi. Hanno condiviso il palco alcune tra le band emergenti della zona come Apo & the Apostles, con le loro poliglotte ballate festaiole, Gazhall: gruppo reggae pop made in al-Nāṣira, spostandosi attraverso sound più elettronici e fusion di gruppi come Zenobia o DjSupermike. Non sono mancate le esibizioni di gruppi decisamente piú affermati, dal rap mediorientale di Sameh Zakout, in arte SAZ, fino ad arrivare allo show dei DAM, veterani di anni di esperienza nel panorama hip hop e di fortune anche all’estero. Per tutti quanti suonare a Tel Aviv ha rappresentato qualcosa di non banale.
Guardate il nostro speciale:
Immedesimiamoci nella situazione: immaginiamo che in Italia per 70 anni non venga organizzata quasi nessuna serata di cantautori a Bologna o nessun concerto di cori alpini a Trento.
Ecco, per le persone di origine araba nate dopo il ’48 tra il Mediterraneo e il Giordano poter suonare a Tel Aviv in Israele, alla prima edizione di questo festival di musica araba, ha rappresentato piú o meno una sfida del genere. Sintonizziamoci un minuto sui canali delle principali tv per farci un’idea della vita in questa terra: attentati, occupazione militare, morti, vendette, sangue, razzi e fuoco sui civili, un conflitto che il 15 maggio ha compiuto 70 anni e pochissimi compromessi, pochissime iniziative serie per la pace da parte di chi abbia un briciolo di potere, estremismi e contro-estremismi, provocazioni e ingerenze da di là dell’Atlantico e del Golfo Persico.
E ora spegniamo un secondo la TV e proviamo a fare alcune domande a chi questa terra la vive ogni giorno, al promotore del festival (Anan Ksym, CEO e fondatore della prima casa discografica palestinese, Mazaj Productions) e ad alcuni cantanti.
Capiamo che forse qui, questa sera, in questo club, è successo qualcosa che non rientra nella solita narrazione dei media. Ascoltate bene cosa dicono, notate tra l’altro l’inglese perfetto.
Confrontatelo (se le avete mai sentite) con le orribili dichiarazioni dei sedicenti rappresentanti politici locali, da ogni parte.
Ebbene, anche se un po’ fuori contesto, ci starebbe bene quella frase di Gaber: “Ahhhh, niente, era soltanto, un uomo … ho pensato di tutto, l’unica cosa che non ho pensato… è che poteva essere semplicemente, una persona”.
Sabato sera, in una stradina del quartiere Florentin di Tel Aviv, a tanti degli israeliani presenti in quella sala sarà forse venuto in testa un pensiero simile.
É stata offerta una di quelle occasioni per vedere che al di là del muro esistono persone che non hanno nessun’altra preoccupazione se non quella di essere dei grandi musicisti e produttori, di suonare, bere, divertirsi.
Un’occasione non per chiudere gli occhi sul dramma di questa terra ma per rifiutarsi di essere nemici e affidare alla musica quella sacrosanta speranza di passare una bella serata e, chissà, magari proprio grazie a serate come queste, di andare incontro a giornate più serene.
Approfondimenti sulle band in questione:
Apo & The Apostles
DAM
Ghazall
SAZ
Zenobia
a cura di Marco Nista e Ilaria Cesanelli

Mi racconto in una frase:
Gran rallentatore di eventi, musicalmente onnivoro, ma con un debole per l’orchestra del maestro Mario Canello.
I miei tre locali preferiti per ascoltare musica:
Cox 18 (Milano), Hana-Bi (Marina di Ravenna), Bloom (Mezzago, MB)
Il primo disco che ho comprato:
Guns’n’Roses – Lies
Il primo disco che avrei voluto comprare:
Sonic Youth – Daydream Nation
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso:
Ho scritto la mia prima recensione nel 1994 con una macchina da scrivere. Il disco era “Monster” dei Rem. Non l’ha mai letta nessuno.