A distanza di più di un anno dal loro EP Googoo, “Post Exotic” lancia i Bosco Rogers nella mischia degli album più scalpitanti di quest’estate, meritandosi un posto di rispetto su qualsiasi auto diretta a una spiaggia.
L’album, registrato tra la Francia e l’Inghilterra e poi mixato a New York, è una corsa scalmanata dagli anni 60′ e i suoi pezzi più surf pop (Drinking for two), all’indie più recente, dove si risente un grande debito nei confronti di Dandy Wharols e The Strokes.
Barthelet (Barth) Corbelet e Delphinius (Del) Vargas con i Bosco Rogers formano un duo sui generis: il primo da Rouen e il secondo da Hastings, si sono scontrati a metà strada (Brighton) per dar vita a un lavoro caleidoscopico in cui ogni pezzo sembra tralucere sonorità diverse dell’indie anni zero e che loro chiamano “flower pop from the dirty south of UK”.
L’album parla chiaro fin dai primi pezzi: un sound sporco, con una batteria spesso ovattata che fa da contrappunto a una chitarra nei ranghi, che a tratti lascia spazio a un suono maggiormente ruvido. Una musica, soprattutto nelle prime tracce, senza troppi orpelli che strizza l’occhio al garage rock, la cui dimensione ideale dovrebbe essere quella live. A differenza della maggior parte dei brani, che spesso lasciano spazio a un incedere ritmico convulso quanto anche ballabile, tra i pezzi più catchy sicuramente French Kiss e The Middle, quest’ultimo più strutturato rispetto al tono generale dell’album.
Una canzone che, a detta di Del, nasce sulla spiaggia di Trouville alla fine dell’estate di due anni fa, quando il compagno di band stava seduto sulla spiaggia con il suo cane Stupido (si, è proprio il nome del cane) pensando all’amore estivo perduto e lasciato alle spalle. “Barth ha iniziato a fischiettare una melodia, poi si è reso conto che quella canzone non esisteva…fino a quel momento”. La filosofia dei Bosco Rogers, con dei ritmi spesso euforici e dei testi melanconici, è divertente e scompigliata come le loro canzoni: in quello che può essere un inno come “True Romance” si parla di edonismo e della ricerca dell’amore in un mondo che appare invece un po’ sbiadito. “The world is burning and people couldn’t care less as long as the party doesn’t stop,” spiega Del parlando del brano. “We are not those kinds of people. ‘True Romance’ is about never losing your sense of curiosity or wonderment at the world.”
I Bosco Rogers non sembrano prendersi sul serio, e decisamente fregarsene rispetto a una illogicità che domina nel loro primo album. Saltano da un pezzo all’altro, senza badare troppo al fatto che lasciano intravedere le loro influenze e delle cifre stilistiche canore qualche volta più vicine a Alex Turner, qualche volta più rivolte al passato. Post Exotic è un lavoro sì acerbo e giovane, ma forse fa troppo battere i piedi per definirlo una semplice proposizione di una musica generazionale già ascoltata.
Se c’è una cosa sicura che apprezziamo è che i Bosco Rogers hanno una capacità molto personale di variare e riadattare l’indie rendendolo decisamente orecchiabile, e questo non ci può che far avere delle aspettative alte per quello che potrebbero regalarci in futuro.
Attendiamo. Nel frattempo, ci basta anche “Beach! Beach! Beach!”.
Andrea Frangi

Mi racconto in una frase:
Gran rallentatore di eventi, musicalmente onnivoro, ma con un debole per l’orchestra del maestro Mario Canello.
I miei tre locali preferiti per ascoltare musica:
Cox 18 (Milano), Hana-Bi (Marina di Ravenna), Bloom (Mezzago, MB)
Il primo disco che ho comprato:
Guns’n’Roses – Lies
Il primo disco che avrei voluto comprare:
Sonic Youth – Daydream Nation
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso:
Ho scritto la mia prima recensione nel 1994 con una macchina da scrivere. Il disco era “Monster” dei Rem. Non l’ha mai letta nessuno.