Ho scoperto di avere abbastanza bisogno di un disco pensato e suonato proprio così, adesso, qui. Il debutto (omonimo) dei roveretani Pheromones, uscito nell’ottobre 2023, è una specie di scossa elettrica che mi trasporta tutte le volte da un’altra parte.

Trovo giusto mettere le cose in chiaro, perché forse questo ci aiuta a capire meglio la situazione: chi scrive non è un punk adolescente e spensierato, né un trentenne fuori corso al DAMS, ma un cinquantenne, mite e provincialissimo padre di famiglia. Tutte le volte che premo play, una specie di raptus si impadronisce del mio corpo e del mio cervello per l’esigua durata di otto tracce.

L’album parte con dei riff taglienti, che ti catapultano in mezzo al dancefloor di una qualunque serata indierock di una capitale europea. Nemmeno è iniziato e già ti cambia l’umore, hai solo voglia di ordinare un gin tonic e fare serata.

Le chitarre insolenti e sbarazzine di Brain Shock mi riportano indietro fino a quel momento di metà anni 2000 in cui band come i Long Blondes e Love Is All stavano per esplodere e sulle copertine di NME e Melody Maker si avvicendava una potenziale Next Big Thing dietro l’altra, che poi non lo sarebbe mai diventata.

Dopo il primo elettrizzante brano, però, le cose cambiano un po’. Le chitarre si fanno più sferraglianti nella seconda traccia, Alcoholwhore, con il basso che si ingrossa e i ritmi che si fanno più tirati con l’avanzare della playlist. L’atmosfera si fa anche un po’ più cupa.

No Flowers è un bignamino per i giovani wannabe Yeah Yeah Yeahs. I testi di questo album sono molto concisi, evocativi e potenti, necessari e sufficienti perché la voce di Margherita colori tutto il disco: una fascinosa pennellata di deboscio e disperazione nichilista (I got no fear for my life/I got no money for my drugs/I got no music for my dance/I got no love for myself)

Anche quando i ritmi si riducono e i Pheromones indirizzano le vibrazioni della loro musica verso una certa rassegnazione e malinconia, come in Nothing, mantengono altissima la tensione e l’attenzione di chi ascolta. Nel caso specifico ci riescono anche perché sembra che arrivi Toni Iommi a fare un featuring, rubando la chitarra di Alberto e inventandosi questo riff grasso e grosso come un matrimonio greco, dove ci sono i Black Sabbath al posto dell’orchestra con i bouzouki.

Si rilevano tracce di noise nel loro “heavy pop” e riferimenti a Breeders, Hole e a certo alt-rock anni 90 un po’ più peso, vedasi Dancing Queen, che con il tormentone degli Abba condivide appena il titolo e alle linee spezzate di Sick Love, che poi parte spedito come un razzo esploso dai Sonic Youth di “Dirty”.

Uno degli episodi migliori (con l’opener) è la schizofrenica Wake Up, che vi farà salire sulle montagne russe emotive, con rarefazioni improvvise per poi di nuovo darvi una frustata e infine farvi schiantare a terra esanimi. Chiude Honey, finale a rotta di collo, fra echi di Bikini Kill e Gang Of Four.

I Pheromones fanno deflagrare questo clamoroso ordigno omonimo sul finale di un momento storico abbastanza disperante. Si dice che la musica non ti salva mica la vita e poi please don’t put your life in the hands of a rock’n’roll band ed è tutto vero e giusto. Ma forse un pezzetto per volta, invece, questa musica la vita te la salva proprio, o almeno mi piace illudermi che sia così.

Quindi aggrappatevi anche voi con le forze che vi rimangono al “power pop con decise influenze post-punk e punk funk” dei Pheromones, fatevi trascinare in mezzo alla pista a ballare, fatevi possedere completamente dalle loro chitarre acuminate e frenetiche. Questo LP di debutto – uno dei migliori dell’anno in Italia – è diventato la mia personale comfort zone; benedetti siano sempre quei bei ragazzotti di WWNBB che li pubblicano.

Andrea Bentivoglio