Jim Jarmush ci ha abituati ad una narrazione itinerante; una poetica di percorsi fisici che si rivelano viaggi dell’anima. “Paterson” è la sua opera più riuscita dopo “Dead Man” ed a questo film più vicina, seppure nella struttura narrativa potrebbe ricordare “Broken Flowers”. Un omaggio al poeta americano William Carol Williams, autore de “Le vene dell’America” in cui Jarmush sembra proprio cercare il sangue che scorre nella vita di cittadini perduti nella città di Borroughs e a cui Williams dedicò un libro. Una narrazione dove nulla sembra succedere, che mostra un giorno della marmotta del protagonista, che si chiama anche lui Paterson. Egli si mimetizza con la città in cui vive per perdersi sul fondale di un’esistenza che accompagna quelle degli altri, osservandole senza avvicinarle. Uno stile di vita monacale, dove le altre persone viaggiano, cambiano (la moglie continua a modificarsi in una sequenza di esperienze quotidiane che non sempre egli gradisce e approva) ma dove lui vive da spettatore, come un passivo osservatore di una ciclica quotidianità interrotta e vivificata dai suoi momenti di salienza poetica. Se inizialmente la storia sembra romantica e idilliaca, si ha, sotto lo sguardo ironico del regista, un (impercettibile ma efficace grazie al sempre bravo Adam Driver) crescere di tensione e di monocorde irritazione di un uomo che corre verso la morte della propria vitalità. Come riscrivere la propria esistenza? Come sopravvivere al peso della monotonia? A volte la morte può consistere nel ricominciare da capo, con una pagina bianca che da molte più possibilità di un diario segreto e di quello si è già vissuto. In questo lavoro a togliere, il viaggio di questo Dead Man termina in una ritrovata spiritualità e come William Blake perdeva fisicità tramutandosi in spirito, così Paterson raggiungerà l’essenza del proprio essere poeta. Incontrando una ritrovata purezza di origine orientale, grazie al discorso surreale con un turista fuori luogo, il protagonista si avvicina spiritualmente ai poeti giapponesi (come quelli del mondo fluttuante di Hokusai) e cinesi che si specchiavano nelle cascate, diventando parte di esse. Allo stesso modo Paterson si fonde con l’esistenza onirica e ripetitiva del luogo in cui vive, regalandogli i propri occhi e le proprie intense parole. Per spettatori poetici e pazienti.

Il Demente Colombo