Quella sull’uso dei telefonini ai concerti è una guerra aperta da anni. Se ne fa un uso spropositato, è vero. E questo fa arrabbiare molti artisti. L’ultimo tentativo di spazzare via i nostri smartphones dai palazzetti di mezza Europa arriva da Jack White, un vecchio nemico della telefonia mobile. In occasione delle date parigine del 3 e 4 luglio, la Radical Production ha infatti annunciato che sarà vietato fare foto, video e registrazioni audio. Insomma, «saranno concerti senza telefono».

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La questione è molto discussa e non siamo certo i primi a tirarla in ballo. Come si dice crogiolandosi nella banalità, l’uso del telefonino ha i suoi pro e i suoi contro. L’entourage del leader dei White Stripes ha spiegato la scelta in questi termini: «Pensiamo che vi piacerà vivere insieme il concerto al cento per cento nel momento presente, e condividere il nostro amore per la musica, senza intermediari».

Il punto, però, è questo: al di là di qualunque tipo di ragionamento, chi è Jack White per decidere se posso o non posso usare il mio telefono? Beh, fare fotografie ai concerti sarebbe vietato per questioni di copyright. Ma bloccare una massa di fotografi amatoriali pronti a pubblicare tutto e subito sui social è un’impresa francamente impossibile. Assistiamo così a una specie di esproprio proletario dei diritti d’immagine. E di questo Jack White dovrebbe farsene una ragione.

Non che prima non si facesse, tra l’altro. Tanti anni fa andavo ai concerti con la mia macchina fotografica, prima analogica e poi digitale. Con quelle macchine ho scattato fotografie di pessima qualità, che tuttavia sono rimaste impresse nella mia memoria. Ricordo le immagini un po’ sfuocate che riuscii a portarmi a casa lottando in platea a uno degli ultimi live di Sparklehorse. Memorabile.

All’epoca nessun artista si lamentava delle macchine digitali. Ma a ben pensarci, gli attuali telefonini non sono molto diversi da una Canon di prima generazione. E allora perché molti musicisti portano avanti questa impopolare battaglia? Forse perché nei confronti dei telefonini si è sviluppato ormai un astio incondizionato, anche da parte di chi ne fa un grande uso. È l’atteggiamento tipico di chi soffre di dipendenza. Non riesco a farne a meno, me ne vergogno, quindi lo demonizzo e sputtano i miei simili.

Dal punto di vista tecnico, ci sono almeno due buone ragioni per cui sarebbe buona cosa tenere gli smartphones più in tasca che in mano:
a) Ai concerti ci sono i fotografi professionisti accreditati per le riviste. Le nostre foto di dubbio gusto rovinano e compromettono il loro faticoso lavoro. b) Ai concerti ci vanno anche i bassi. Lo dico per esperienza personale: un basso che ha di fronte una selva di spettatori con le braccia alzate rischia seriamente di tornare a casa senza aver visto la faccia del cantante. Fare qualche foto non è un peccato, ma andiamoci piano.

Molto spesso, però, non è per queste due ragioni che i musicisti si lamentano. Le motivazioni sono diverse, variano da artista ad artista. Alcune sono comprensibili, altre un po’ meno. Ci sono anche quelli che si dichiarano favorevoli. Per questo ho individuato sette modelli-tipo, che di fronte al dilagare dei telefonini ai loro concerti hanno avuto reazioni diverse. Per me sono tre sì, tre no e un “ni”. Partiamo dai sì e poi via a scalare.

1. L’accecato: Micah P. Hinson (Sì)

Il primo artista incazzato con i telefonini in cui mi sia mai imbattuto è proprio lui, il mio menestrello americano preferito. Milano, Circolo Magnolia, era il 2012 o giù di lì. Dopo due o tre pezzi Micah chiede di smettere di scattare fotografie. In sala si diffonde un clima di terrore psicologico, una sorta di timore reverenziale dettato anche dal passato tormentato del musicista. Meglio non farlo arrabbiare, insomma. Tutti muti e telefonino in fondo alla tasca. Per quanto ne capii, Micah era semplicemente infastidito dai flash. Aveva ragione. Un po’ perché scattare con il flash è un errore da principianti e un po’ perché questo è davvero un valido motivo per non farlo. Se i flash lo distraggono, lo abbagliano, gli fanno perdere la concentrazione durante la sua performance artistica, allora è giusto non fotografare. È una questione di rispetto.

 

2. Il ribelle: Pierpaolo Capovilla (Sì)

Ricordo molto bene anche la sfuriata del leader del Teatro degli Orrori durante un concerto al Bronson di Ravenna nel 2016. Uno spettatore, in un gesto a dir poco paradossale, riprese tutto con il suo telefonino. Il video caricato su Youtube girò parecchio, scatenando il dibattito. «Guardi il mondo sempre attraverso questo maledetto aggeggio – disse Capovilla rivolgendosi al suo pubblico – Ma non è che guardi il mondo: guardi l’aggeggio. Viviamoci i nostri momenti, un concerto rock è un momento di vita vissuta insieme, non lo sputtaniamo con queste tecnologie. Queste tecnologie sono lo sviluppo, non sono il progresso. C’è una bella differenza». Una richiesta, ma anche un consiglio. Una riflessione in pieno stile Capovilla, decisamente convincente.

 

3. Gli attacchini: She & Him, Yeah Yeah Yeahs e Father John Misty (Sì)

Per diverse band indie la soluzione è avvisare il pubblico con l’apposito cartello all’entrata dei concerti. She & Him, per esempio, in occasione di un concerto in Canada avevano optato per l’ironia: «At the request of Matt and Zooey, we ask that people not use their cell phones to thake pictures and video, but instead they enjoy the show they have put together in 3 D». Più diretti gli Yeah Yeah Yeahs, che anni fa fecero affiggere dei manifesti con scritto: «Per favore, mettete via quelle schifezze per rispetto nostro e della persona accanto a voi». Il nostro preferito, però, è Father John Misty, che ha lanciato il messaggio direttamente attraverso la scenografia. All’interno di un grosso cuore, campeggiava la scritta: «No photography».

 

4. I volgari: The Pretenders (No)

Nel 1994 Chrissie Hynde e i suoi Pretenders sfornavano la loro hit di maggior successo, I’ll Stand By You. Quella voce suadente è diventata improvvisamente un lontano ricordo lo scorso 26 ottobre, quando la cantante ha sbraitato dal palco di Dubai contro chi stava immortalando il concerto con il telefonino. «Prendete il telefono e infilatevelo su per il culo. Non siamo Lady Gaga o Katy Perry, quindi se volete usare i vostri fottuti telefonini, andate a vedere loro». Molto punk, quindi bene. Però forse è un po’ troppo. Tanto che la cantante si è poi scusata pubblicamente.

 

5. L’antieroe: Piers Faccini (No)

Settimana scorsa sono stato a sentirlo a Milano. Verso la fine del concerto, nel bel mezzo dell’esecuzione del brano, Faccini ha chiesto a due fotografi impegnati nel loro lavoro di non fare più foto. Lo ha fatto con un gesto del braccio, come a stopparli per scansarli. Non ricordo le parole esatte, ma alla fine del brano ha detto qualcosa del tipo: «Ho fatto il cattivo, ho chiesto ai fotografi di smettere. A me non importa nulla se si fanno o non fanno foto, però è meglio viversi il concerto senza». Di cattivo gusto, anche perché diretto a persone che erano lì per lavorare. Un po’ come quelli che dicono: «Io non sono razzista, ma…».

 

6. Il furbetto: Nick Cave (No)

Prima di Jack White, l’ultimo grande artista a fare riaccendere il dibattito è stato Nick Cave. In un messaggio pubblicato sul suo sito ufficiale, il musicista americano ha chiesto ai fan di condividere le proprie fotografie per poterle riutilizzare: «So che voi, coi vostri smartphone, state facendo alcune delle migliori foto di concerti del pianeta. Ne abbiamo postate diverse su Instagram e sono straordinarie. Nick Cave e i Bad Seeds sono sempre alla ricerca di foto dal vivo: vorremmo usare le vostre. Se siete d’accordo, speditecele alla massima risoluzione possibile». Per la “gioia” dei professionisti.

 

7. Gli entusiasti: Arcade Fire (Ni)

Non sono in molti, ma c’è anche chi se ne sbatte e rilancia l’uso del telefonino in chiave spettacolare. Durante l’ultimo live degli Arcade Fire a Milano, Win Butler ha chiesto a tutti di accendere il proprio smartphones e sollevarlo. L’effetto, in sostanza, è stato quello dei cari vecchi accendini. Sembrava di essere all’Arena di Verona a sentire Zucchero, però il colpo d’occhio è stato notevole. Contenti loro.

Paolo Ferrari