Le classifiche mi sono sempre piaciute. Anzi, ne vado proprio pazzo. Del resto faccio parte della generazione “Alta Fedeltà”: datemi uno spunto qualsiasi e vi sparo una classifica seduta stante. Così, pronti via. Ma c’è un però. Se volete mettermi in difficoltà, ma la difficoltà quella vera, chiedetemi di ordinare i dischi degli Arcade Fire dal migliore al peggiore. Per me è un rompicapo, non ci riesco proprio. So solo che “Funeral”, forse, ma dico forse, andrebbe al primo posto. Sì dai, anche solo per motivi storici. Poi però inizio a sudare freddo. Prima “Neon Bible” o “The Suburbs”? E “Reflektor”? Dove lo metto? Un vero incubo. Perché a differenza di quasi tutti voi, a me è piaciuto anche “Everything Now”. Non sarà il loro album migliore, ma non si merita nemmeno un ultimo posto. Dai, povero “Everything Now”. Quindi no, non so proprio chi metterci, lì in fondo. E di certo, in questa immane operazione nerd che fa tanto “The Big Bang Theory”, l’uscita di “WE” mi complica ulteriormente la vita.
Ve ne dico un’altra. So perfettamente che al giorno d’oggi i dischi si ascoltano al massimo un paio di volte, dopodiché si spara il giudizio, capolavoro o merda assoluta, e si passa a quello successivo. Ma chi è cresciuto negli anni in cui i dischi si compravano e si sudavano, con i soldi messi da parte apposta, vivendo di stenti pur di acquistare l’ultimo dei Metallica, gli anni in cui i dischi li ascoltavi fino allo sfinimento anche solo per giustificare la spesa, ebbene, queste persone sapranno bene che l’ascolto ripetuto porta quasi sempre, alla fine della fiera, ad apprezzare il contenuto. Ecco, tutte queste parole per dire che “WE” è un album che più lo ascolti, più ti piace. All’inizio dici “bah, gli Arcade Fire non sono più quelli di una volta, finalmente so quale disco mettere in fondo alla classifica”. Poi però ti ricredi e ti si apre un mondo che credevi perso.
Scopri, per esempio, che la doppietta iniziale composta da Age of Anxiety I e Age of Anxiety II (Rabbit Hole) è di un’intensità tale da farti dimenticare di scendere alla fermata di casa per tirare dritto fino al capolinea. È il giusto mix tra i vecchi e i “nuovi” Arcade Fire, con quell’inserto di elettronica che ti prende e ti porta lontano. Si balla, sì, ma in un’atmosfera paludosa e criptica che è l’esatta trasposizione in musica dell’ansia di inizio millennio da cui sembra impossibile uscire (vedi il riferimento alla tana del bianconiglio).
Scopri anche che i quattro capitoli di End of the Empire sono in grado di rispolverare una coppia che oggi esiste soltanto nei sogni. John Lennon da una parte, con quell’incedere di piano struggente ed etereo, e David Bowie dall’altra, nel crescendo barocco, più che mai teatrale, che è tipico del periodo Ziggy Stardust. The Lightning I e II segnano un entusiasmante ritorno alle origini, di quelli che dal vivo ti esaltano come una vittoria in trasferta al Bernabeu, e allora pensi che “Funeral”, dopotutto, non è poi così lontano. E che dire di Unconditional I e II? All’inizio pare di sentire Win Butler suonare da solo appollaiato su uno scoglio al tramonto. Poi l’irruzione della band, della sezione d’archi, di Regine Chassagne e addirittura di Peter Gabriel nella seconda parte, ti convince del fatto che i canadesi sono tutt’altro che finiti e poco ispirati. Dentro “WE” ci sono gli Arcade Fire all’ennesima potenza. Ci sono dieci brani su dieci da salvare in playlist.
E insomma. Basta tutto questo per scalare la classifica? Un podio, almeno, se lo merita? Forse sì. Il problema è che poi riascolti tutti gli altri e sei punto a capo. Che palle. Forse lo metto in zona Champions, ma non ne sono ancora sicuro. Saltano fuori i ricordi, il legame affettivo con alcuni vecchi pezzi, quella Here Comes the Night Time cantata a Lisbona, non farmici pensare… Dai, facciamo così. Facciamo che “WE”, fermo restando il primato di “Funeral”, ha la licenza di galleggiare tra il secondo e il sesto posto a seconda dei giorni. Può andare? Troppo facile? Quando piove e lo si ascolta sul divano, si guadagna il podio. In viaggio o in un contesto urbano scende di una posizione. Con la presa bene dei tempi migliori preferisco “Reflektor” o addirittura “Everything Now”. Non chiedetemi di più. Non chiedetemi nemmeno di posizionare gli altri, è un casino. Davvero. Piuttosto, provateci voi.
Paolo
Mi racconto in una frase:
Gran rallentatore di eventi, musicalmente onnivoro, ma con un debole per l’orchestra del maestro Mario Canello.
I miei tre locali preferiti per ascoltare musica:
Cox 18 (Milano), Hana-Bi (Marina di Ravenna), Bloom (Mezzago, MB)
Il primo disco che ho comprato:
Guns’n’Roses – Lies
Il primo disco che avrei voluto comprare:
Sonic Youth – Daydream Nation
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso:
Ho scritto la mia prima recensione nel 1994 con una macchina da scrivere. Il disco era “Monster” dei Rem. Non l’ha mai letta nessuno.