Milano, 24 maggio 2022

Sangue caldo, un sole nero. Lo Spirito Libero, come il sorriso delle centinaia di fan che affollano via Valtellina. L’attesa è spasmodica, l’atmosfera è quella dei grandi eventi. Perché per molti seguaci dei Litfiba, questo, probabilmente, sarà l’ultimo incontro con la storica band toscana. Ebbene, vi sembrerà strano, ma davanti all’ingresso dell’Alcatraz ci siamo anche noi.

È vero, andando a memoria, direi che finora Piero Pelù e soci non avevano mai trovato spazio su queste pagine. Colpa forse della nostra proverbiale puzza sotto il naso. Puah! Oppure del nostro eccessivo ripudio per chi, come i Nostri, è giunto a qualche compromesso in più pur di proseguire la propria carriera (e questo va anche detto). Eppure i Litfiba, volenti o nolenti, dovrebbero entrare di diritto nel club dei padri fondatori di un certo approccio alla musica (leggasi indipendente) che noi adoriamo e trattiamo sempre con rispetto. Basti pensare ai loro primi tre memorabili album prodotti dalla mitica I.R.A. Records di Firenze, l’etichetta che ha fatto da apripista a una marea di realtà “indie” nate tra gli anni ’80 e ’90.

Insomma, sono abbastanza convinto che i Litfiba, oggi, non siano del tutto fuori dal nostro target. Perché un tour come questo risveglia sentimenti sufficientemente antichi per andare a rivangare nel loro passato da pionieri. La scaletta, infatti, comprende numerose gemme pubblicate proprio in quel periodo ormai lontano, che potremmo definire carbonaro e dunque underground. L’epoca in cui i toscani erano una vera band di cinque elementi, con Gianni Maroccolo al basso, Antonio Aiazzi alle tastiere e il compianto Ringo De Palma alla batteria. La formazione classica, insomma, quella della “Trilogia del potere”, capace di assorbire i suoni del post-punk e della dark-wave provenienti dal Regno Unito e rielaborarli in chiave italiana, oserei dire mediterranea.

Certo, da allora sono passati 42 anni. Di cose, nell’universo Litfiba, ne sono successe parecchie. La “Tetralogia degli elementi”, una serie di cambi di formazione, il primo scioglimento, il tentativo malriuscito di andare avanti senza lo storico cantante. Infine la reunion, datata 2009, con i soli Ghigo e Pelù titolari inamovibili del marchio, un paio di dischi trascurabili e soprattutto la celebrazione del mito durante i live. Per rimanere vivo, però, il mito necessita anche di silenzio e di una buona cantina in cui essere conservato. Ecco dunque l’annuncio finale: un tour conclusivo, ribattezzato “L’ultimo girone”, e scioglimento (definitivo?) dopo l’estate. Potevamo mancare, quindi? Direi di no. Ai vecchi padri bisogna rendere sempre omaggio.

Torniamo quindi davanti all’Alcatraz e ripercorriamo una serata che, immaginiamo, si ripeterà simile durante le prossime date. Il locale, lo dicevamo, è strapieno. Dentro c’è un po’ di tutto. Il sessantenne immobile che vola con i ricordi dietro gli occhialini da impiegato, l’esagitato con bandana e maglietta vintage di “Terremoto”, un sosia di Slash con accento bergamasco (amico, se ci leggi, mandaci una tua foto), una coppia di trentenni con sigaretta elettronica caricata a vaniglia, Herbert Ballerina che saluta il pubblico dalla balconata, gli amici che incontri per caso e che non pensavi di trovare proprio qui.

I cori da stadio si sprecano, poi una voce annuncia l’imminente ingresso della band. Alle spalle del palco, un’enorme scenografia con quattro X, una per ogni decade, ricorda gli anni di attività del gruppo. Piero Pelù irrompe in scena con una camicia maculata aperta sul davanti. Fisico asciutto, in forma smagliante, già sudato visto il clima tropicale. È un’ovazione. Pronti via, il cantante imbastisce i primi proclami contro la guerra e contro Putin, seguendo la linea dell’antimilitarismo che da sempre contraddistingue il Pelù pensiero. Più avanti ne avrà per tutti: no al nucleare, no al proibizionismo, sì ai lavoratori dello spettacolo di “Bauli in piazza”, a cui cederà il palco a metà concerto.

Scatta una scommessa da bar: quale sarà il primo pezzo? A sorpresa vince El Diablo, ed è subito un delirio. Non l’avrei mai detto, ma alzare le corna al cielo viene quasi naturale. Roba da vecchi bacucchi? Sì, ma chi se ne frega. Ghigo, immobile sotto il suo cappellino, spara una schitarrata dietro l’altra. La tecnica non è mai stata il suo forte, e in alcuni passaggi si sente. Ma ammettiamolo, quei suoi riff stradaioli hanno fatto la nostra infanzia. E allora su le mani, giù il medio e l’anulare, e via con un altro bel paio di corna di approvazione. Ah, dimenticavo. Per l’occasione i due fondatori sono accompagnati da tre musicisti di tutto rispetto. Dietro le pelli c’è Luca Martelli, già in pianta stabile dal 2012, un ottimo batterista rock diventato una rarità in Italia. Alle tastiere Fabrizio Simoncioni, capace di restituire alla perfezione il suono della band degli esordi, e al basso il buon Dado Neri.

Nei primi dieci minuti i Litfiba calano subito altri due assi: Proibito e Dimmi il nome (potentissima, come su disco). Ma è sui brani più vecchi che il gruppo riesce ancora a scavalcare le nuove generazioni. In particolare quelli tratti da “Desaparecido”, eseguito quasi nella sua interezza. Dall’inno generazionale Eroi nel vento a Pioggia di luce, passando per Instambul, dedicata alle donne curde, e per due delle tre vette raggiunte durante il concerto milanese: Tziganata, canzone simbolo di una band da sempre “zingara”, e una struggente Lulù e Marlene cantata dalla transenna, a contatto con il pubblico.

Il terzo apice della serata è rappresentato sicuramente da Louisiana, che con la sua atmosfera sospesa e sabbiosa apre la parte finale del live. Non vorrei spararla grossa, ma provate a immaginare alcuni pezzi anni ’80 dei Litfiba tradotti in inglese e spogliati di qualunque pregiudizio. Messi su un disco di qualche nostro nuovo beniamino, di band che pescano a piene mani da quegli anni, beh, quelle canzoni quasi dimenticate potrebbero diventare tranquillamente delle hit. Provate a riascoltarle.  

Tornare da adulti a un concerto dei Litfiba significa anche rivalutare la scrittura di alcuni brani che un tempo cantavi soltanto per svuotare di rabbia lo stomaco e che adesso riscopri nella loro inattesa attualità. È il caso di Sparami (“passerà quest’anno nero come sono passati gli altri”) o Lo Spettacolo, un pezzo che coglie ancora nel segno pur nella sua indole un po’ volgarotta. Non temete, se andrete a sentirli per ascoltare le tracce più commerciali, quelle che hanno portato i Litfiba al grande pubblico, non rimarrete delusi.

Ma non sarà certo Il mio corpo che cambia o Regina di cuori (durante la quale Pelù chiede alle donne di “scapezzolarsi”, vabbè…) a trasformare la vostra giornata. A farvi rientrare a casa con il sorrisone sarà la consapevolezza di aver assistito al concerto di una band italiana che suona rock per davvero. No, non i Maneskin, ma un gruppo che ha tutto il diritto, le qualità e la storia per autocelebrarsi per l’ultima volta. Che poi, a pensarci bene, i Litfiba non celebrano solo se stessi, ma anche il proprio pubblico e un mondo un po’ naif, ma tanto bello, che ormai non c’è più. Noi che quel mondo un po’ lo rinneghiamo, perché fuori moda e lontano dai nostri ultimi riferimenti, dovremmo invece abbandonare la sua versione caricaturale e recuperare ciò che di buono ha prodotto. E nell’ultimo girone ce n’è abbastanza per divertirsi a dovere. Fateci un pensiero.

Paolo

 

Ecco le prossime date del tour:

24 giugno Macerata, Musicultura
3 luglio Legnano, Rugby Sound Festival
9 luglio Nichelino, Sonic Park Stupinigi
15 luglio Lucca, Lucca Summer Festival
16 luglio Ferrara, Ferrara Summer Festival
18 luglio Roma, Rock In Roma
20 luglio Matera, Sonic Park Matera
23 luglio Catania, Sotto il Vulcano Festival
27 luglio Bergamo, Bergamo Summer Music
29 luglio Villafranca di Verona, Villafranca Festival
30 luglio Majano, Festival di Majano unica data in Friuli Venezia Giulia
11 agosto Monte Urano, Bambù Festival
13 agosto Alghero, Anfiteatro Maria Pia
18 agosto Lecce, Oversound Music Festival
20 agosto Cattolica, Arena della Regina
26 agosto Romano D’Ezzellino, AMA Festival