
La Furnasetta è pervicace come un virus, giusto per usare una metafora figlia dei tempi. Dopo lo split con Leather Parisi, dove iniziammo a sospettare che i nostri avessero piegato il loro suono a quello dei compagni di viaggio per indirizzarlo verso un industrial più di alta sartoria, zen, minimale e cameristico, ebbene, dopo una parentesi sobria e severa come quella di pochi mesi fa, torniamo al metal industriale delle origini, qui abbigliato con suggestioni wave ed EBM.
Ne esce una versione mitteleuropea dei Ministry, con la differenza, rispetto al gruppo di Al Jourgensen, che nelle loro tracce i nostri casalesi monferrini restano sempre affezionati a una formula fluida, gelatinosa, senza prediligere una struttura incardinata in strofa e ritornello, a favore di una free form sempre in lotta e alla ricerca di pace con la componente ritmica. Quest’ultima, paradossalmente, risulta rigorosa, matematica e cubista.
Siamo in fase di assestamento della loro poetica o è solo la risposta dei nostri a Sara Ohm? E qui veniamo all’altro artista presente in questo prodotto a doppia firma, una one woman band svedese che unisce certo punk isterico con un droning metal stile Sunno))) Zero batteria, chitarra a strati, elettricità organica. Digitale? No grazie. Un suono rosso fuoco ma etereo, quindi giustamente della stessa consistenza delle fiamme.
Cosa unisce quindi queste due proposte? Forse la voglia di pescare nei suoni Anni ’90, da quelli più virili ed eroici di certo metallo, a quelli più esistenziali di certo shoegaze.
Alessandro Scotti

Mi racconto in una frase: vengo dal Piemonte del Sud
Il primo disco che ho comprato: “New Picnic Time” dei Pere Ubu è il primo disco che ho comprato e che mi ha segnato. Non è il primo in assoluto ma facciamo finta di sì.
Il primo disco che avrei voluto comprare: qualcosa dei Pink Floyd, non ricordo cosa però.
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso: la foto della famiglia di mia madre è in un museo, mia madre è quella in fasce.