Un nome che oggi suona come l’attimo appena successivo il movimento del fantomatico elefante appostato nella cristalleria che chiamiamo Terra. Un debutto discografico che, a leggerlo da questo punto di vista, assume ulteriormente significato.
Parliamo dei cuneesi I Boschi Bruciano, il cui primo sforzo in studio porta fiero il titolo di “Ci Pesava” e suona arrabbiato e potente esattamente quanto verrebbe da sperare leggendone la copertina. Un verbo al passato che apre una finestra sul mondo di introspezione onesta che popola i testi del disco. Frammenti di ciò che eravamo e che continuiamo ad essere, anche quando diventiamo un po’ più adulti. Un sguardo a se stessi, ma che preferisce una sana ingenuità, al potere dell’egocentrismo.
“Ci Pesava” è un album che prende fiero spunto dai modelli del (punk) rock d’autore italiano quali Ministri e Fast Animals and Slow Kids su tutti, ma che lo fa, con orgogliosa coscienza di sé, all’alba del terzo decennio degli anni 2000. Una vera e propria volontà di affermazione di una ben definita identità, da parte della band, che non per niente arriva al momento dell’uscita discografica dopo anni di attività live e relativo affiatamento sui palchi di mezza penisola.
Notevole la scelta produttiva, che si sente proprio laddove manca. Esattamente come il silenzio è in grado a volte di essere più forte e potente di qualsiasi rumore, così la produzione artistica di “Ci Pesava” si fa sentire nel momento in cui fa un passo indietro e nella pulizia esalta le chitarre, la rabbia degli strumenti e della voce del gruppo, facendone percepire così, distintamente, l’impronta sonora.
A tal proposito emergono come episodi più felici del disco proprio quelli che arrivano più incazzati alle orecchie, primo fra tutti Odio, scelto anche come primo estratto dell’intero lavoro, un pezzo urlato, pieno di energia amara che esplode in un interessante contrasto con i momenti più tenui e melodici del brano. O Pretese, secondo singolo, traccia numero due e tripudio di chitarre elettriche e una batteria che non vuole certo stare in secondo piano.
Neo di questo buon inizio è il fatto che l’impronta sonora sopracitata sia più legata al mondo musicale al quale la band si richiama, che ad una propria specifica personalità. Se questo lavoro in studio pecca in qualcosa, infatti, è forse l’osare un po’ di più nell’essere se stessi e non quei modelli che, forse, dovrebbero farsi più semplici spunti, per quanto alti e significativi. Ma, come abbiamo detto, è solo l’inizio, e il bello è che da qui tutto può essere ancora scritto.
Daniela Raffaldi
