I Guided by Voices sono una piccola grande leggenda del pop rock chitarristico a stelle e strisce. Chi già li conosce sa che Robert Pollard, con la band o in veste solista, raramente ne sbaglia una (nonostante i più di cinquanta album pubblicati in carriera). Chi invece non li conosce, provi a tornare con la mente al fantastico college rock anni Ottanta e si immagini una serie infinita di melodie pop, chitarre spesso ruvide e distorte, il tutto accompagnato da una voce che gioca là dove giocavano R.E.M. ed Hüsker Dü.

“Styles We Paid For” è il terzo album pubblicato quest’anno dalla band dell’Ohio. Nulla di nuovo sotto il sole, ma è sempre un piacere ascoltare cosa il quintetto abbia da dire. Si parte con la ballad Megaphone Riley, inizialmente chitarra distorta e voce poi in perpetua tensione, per passare all’insolita e simpatica They Don’t Play the Drums Anymore, un po’ alla Pearl Jam periodo “No Code”.

Slaughterhouse è più pesante, molto grunge anche lei, quasi alla Tad, mentre con Endlesse Seafood e Stops torna la melodia cristallina con cui i Guided by Voices ci hanno viziato per decenni. Entusiasmante War of the Devils e il suo crescendo di velocità irresistibile, polemica Electronic Windows to Nowhere, scalcinata nella strofa e goduriosa nel ritornello Never Abandon Ship, blueseggiante alla Mark Lanegan Roll Me to Heaven.

Si torna al pop semi-acustico con le successive In Calculus Strategem, Crash at Lake Placebo e Time Without Looking. Bellissimo l’hard rock alla Who di Liquid Kid, necessario il finale desertico di When Growing Was Simple.
Nulla di nuovo, ma quanta bellezza. Questo è il vero indie-rock.

Andrea Manenti