eels the deconstructionNon c’è dubbio. Distruggere ciò che non ci va a genio provoca una certa soddisfazione. Pensate a una lettera che non vorreste mai ricevere. Stracciarla e buttarla nel cestino è una forma di godimento che ogni tanto fa piacere assaporare. La demolizione, in fondo, è un’attività tutt’altro che ingrata, in qualche modo legata a un senso di liberazione, uno sfogo primordiale, a un istinto di sopravvivenza.

Ebbene. Il messaggio che Mark Oliver Everett (più noto come Mr.E) e i suoi Eels provano a lanciare con questo loro dodicesimo album, “The Deconstruction”, è una soluzione alternativa, e decisamente più efficace, alla distruzione fine a se stessa. Dopo anni di disperata fuga dal male di vivere, l’autore sembra aver trovato un’oasi di tranquillità interiore in cui rifugiarsi di qui alla vecchiaia. La distruzione, come avviene nella più eclatante delle sue declinazioni, produce soltanto macerie, detriti e brandelli di carne destinati a pesare sulle coscienze per generazioni. Più che distruggere, allora, è assai più saggio “decostruire”.

Insomma, le immani tragedie affrontate da Mr.E sono ormai ben note, dalla prematura morte del padre al suicidio della sorella. Per il musicista statunitense la vita è un lungo percorso ad ostacoli che solo grazie alla musica non si è concluso con l’auto-distruzione. Ecco. La title track, e l’intero album, sono la testimonianza di una vittoria passata appunto dalla “decostruzione” di un dramma e approdata, a 55 anni suonati, alla “ricostruzione” di un uomo sostanzialmente in pace con se stesso.

Un’opera certosina, per certi versi scientifica e testarda, che ha fatto luce sui suoi pregiudizi nascosti e sul suo triplice ruolo di figlio, fratello e marito. Che ha smontato, pezzo dopo pezzo, le sue contraddizioni latenti. Che ha letteralmente sradicato le angosce e i blocchi interiori, per poi annientarli e dare loro un ordine nuovo, o quantomeno accettabile.

Il risultato di questo lavoro ermeneutico, quasi catartico, è espresso con potenza in uno dei migliori versi del disco: 

«The reconstruction will begin only when there’s nothing left»

Per la prima volta dopo tanti anni, la poetica di Mr.E si tinge dunque di un cauto ottimismo. Tradotta in musica, questa inedita versione dell’artista nato e cresciuto in Virginia si realizza in un saliscendi di vibrazioni che vanno dal bozzetto indie-pop (Rusty Pipes ricorda qualche capitolo dell’esordio del 1996, “Beautiful Freak”), all’introspezione che è tipica delle ultime produzioni (The Epiphany), fino alle schegge garage (Bone DryYou Are The Shining Light) che furono di “Souljacker” (2001) e in parte di “Hombre Lobo” (2009).

Ma è nella bellissima Premonition che Mark Oliver Everett si pronuncia in una profezia che al primo ascolto strappa quasi una lacrima:

«I had a premonition, it’s all gonna be fine. You can kill or be killed, but the sun’s gonna shine»

La “decostruzione” emotiva di Mr.E procede quindi di pari passo con la frammentazione del disco, spalmato su più generi e puntellato da tre brani strumentali (The Quandary, Coming Back e The Unanswerable). La co-produzione di Mickey Petralia permette al leader di sfruttare al meglio i compagni di viaggio, Koool G Murder e P-Boo, concedendo ampio spazio anche ai campionamenti. Il tutto immerso nel tradizionale sottobosco agrodolce fatto di theremin, campanelli e archi, con la partecipazione della The Deconstruction Orchestra & Choir (In Our Cathedral).

Questa, però, non è una novità. E non lo è nemmeno il retrogusto al caramello lasciato dal tradizionale contrasto fra arrangiamenti spensierati e testi pregni di significato (Today Is The Day), che è da sempre il marchio di fabbrica degli Eels. 

«Today is the day I ask myself what the hell was I living for, that’s right»

Certo, l’intensità di “The Deconstruction” non è immediata. In superficie emergono inizialmente soltanto due o tre brani, i più orecchiabili. Questo porta in un primo momento ad associare il disco agli ultimi lavori di Mr.E, sempre ben costruiti ma distanti dai suoi capolavori. Ma se si applica il principio della “decostruzione” suggerito dall’instancabile artista americano, si scopriranno piccoli gioielli che si incastrano a meraviglia in un nuovo sentiero, finalmente illuminato.

Paolo Ferrari