I Disq potrebbero per attitude e sound far parte di quella schiera, comprendente Idles, Shame e Fontaines D.C., che nell’ultimo biennio ha contribuito a far risorgere il punk britannico. È però obbligatorio usare il condizionale almeno per due motivi. Il primo è il fatto che la band provenga non dalla grigia Albione, bensì dalla lacustre Madison, Wisconsin, U.S.A. Il secondo è che, contrariamente alle band citate, i Disq non si concentrano principalmente sull’hardcore, ma sul suo superamento, non sui Black Flag ma su Nirvana, Pavement e Weezer. Proprio questa ultima caratteristica potrebbe fare la fortuna o meno dei giovani americani: difficilmente entreranno a tutti gli effetti all’interno di una scena con un preciso pubblico di riferimento, più facilmente potrebbero però diventare la nuova next big thing del rock a stelle e strisce.

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Di certo c’è che in questo esordio i Disq sfoderano dieci brani di alta qualità, dalla forma grezza, dal cuore puro. Basta l’opener Daily Routine per fare un bel salto sulla sedia: partenza Libertines style, inframezzo New York Dolls con tanto di pianoforte impazzito, finale preso in prestito dagli Oasis più tossici dei nineties. Konichiwa Internet e Gentle mostrano l’amore della coppia di autori-cantanti Bock / deBroux-Slone per la scrittura di Rivers Cuomo, mentre I’m Really Trying e I Wanna Die schiacciano il piede sul distorsore.

Coraggiosa la strumentale Fun Song 4, fra elettronica vintage e carriera solista di John Frusciante, epico e lisergico il finale con Drum In in odore dei sottovalutatissimi Vines di Craig Nicholls. Infine se autori come Kurt Cobain o Peter Doherty inizialmente fecero solo presagire la loro bravura pop con canzoni quali About a Girl e Radio America dai rispettivi album d’esordio, i Disq lo fanno con ben tre pezzi: D19, Loneliness e Trash. Una giovane promessa per un futuro pieno di chitarre.

Andrea Manenti

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