Courtney Barnett, folletto dell’indie rock australiano, è diventata grande. Complice probabilmente il periodo pandemico durante il quale si sono svolte le registrazioni di questo “Things Take Time, Take Time”, la trentaquattrenne di Melbourne abbandona infatti l’irruenza del punk filtrato dall’amore per i Pixies dei suoi primi due lavori (l’esordio “Sometimes I Sit and Think and Sometimes I Just Sit” del 2015 e “Tell Me How You Really Feel” del 2018) a favore di un mood più riflessivo, figlio dei Lou Reed e Patti Smith più poetici e riflessivi, attualizzati tramite elementi (soprattutto, purtroppo?, nelle ritmiche affidate alla drum machine) tipici di un amico come Kurt Vile (con il quale Courtney Barnett ha collaborato nel 2017 nell’album “Lotta Sea Lice”), ma anche di un autore come Mac DeMarco.
La massima di Neil Young, “It’s Better to Burn Out than to Fade Away”, alla fine, e fortunatamente, non è proprio adatta a tutti i rocker… Courtney decide di assaporarsi ogni momento lasciando scorrere la vita davanti a sé, prendendo il tutto così come viene, giorno per giorno parafrasando il titolo (Take It Day by Day) della sesta canzone in scaletta. La riflessione sul futuro è comunque importante, come ci suggerisce un altro azzeccatissimo titolo, Write a List of Things to Look Forward To, ma senza dover ad ogni costo forzare gli eventi.
Le dieci canzoni della tracklist scorrono via così senza scossoni, con qualche alto (il primo singolo Rae Street, la cantilena blueseggiante Before You Gotta Go, il bozzetto pop If I Don’t Hear from You Tonight, la ballad conclusiva Oh the Night) e altri pezzi che non avranno forse nulla di eccezionale o di urgente da comunicare, ma che si fanno ascoltare e cullano dolcemente chiunque voglia dare una chance alla nuova via che Courtney ha deciso di percorrere. Un album di transizione, ma insieme anche di maturità.
Andrea Manenti
Mi racconto in una frase: insegno, imparo, ascolto, suono
I miei 3 locali preferiti per ascoltare musica: feste estive (per chiunque), Latteria Molloy (per le realtà medio-piccole), Fabrique (per le realtà medio-grosse)
Il primo disco che ho comprato: Genesis “…Calling All Stations…” (in verità me l’ero fatto regalare innamorato della canzone “Congo”, avevo dieci anni)
Il primo disco che avrei voluto comprare: The Clash “London Calling” (se non erro i Clash arrivarono ad inizio superiori…)
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso: adoro Batman