Certe impressioni non si possono spiegare, e certi suoni sono come quelle foto in bianco e nero del Punk ’77, luce sulla retina prima ancora che stimolo uditivo. Ecco la visione che ci appare dopo le prime tracce di questa raccolta degli italiani Bee Bee Sea; un attacco vintage e classico nel citare i Ramones e il bubbelgum pop tutto, ma a suo modo originale grazie all’efferatezza alla Flesheaters, alla faciloneria allegra alla Rezillos e un talento per la canzonetta ruffiana Anni ’90 tipo Yeah Yeah Yeahs.
Un attacco dove c’è intelligenza e rispetto per l’ascoltatore, testimoniata da trame che giocano sulla velocità e sulla dinamica per tenere attaccati allo scorrere delle note. Ma dalla metà il disco pare virare su un più consolidato canovaccio pop-punk e indie-rock, che si avverte di certo anche nelle tracce iniziali, ma che mi sarei aspettato di gustare comunque tagliato con sostanze più esotiche.
Il tono allora si fa ancora più giocoso, con momenti saltellanti quasi skiffle, per virare a volte sull’anfetaminico, con stridori degni di gruppi come Wire, Swell Maps o Sonic Youth, ma anche su un sacrosanto emo-core del nuovo millennio, come in fondo è giusto che sia visto l’età anagrafica dei nostri, che sembrano essere qui per divertirsi e per giocarla sulla spontaneità. Benché, come abbiamo rilevato a inizio recensione, cerchino di farlo usando tutti i possibili trucchi del mestiere per mantenere il loro pubblico vispo.
Alessandro Scotti
Photo Credit: Chiara Gambuto
Mi racconto in una frase: vengo dal Piemonte del Sud
Il primo disco che ho comprato: “New Picnic Time” dei Pere Ubu è il primo disco che ho comprato e che mi ha segnato. Non è il primo in assoluto ma facciamo finta di sì.
Il primo disco che avrei voluto comprare: qualcosa dei Pink Floyd, non ricordo cosa però.
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso: la foto della famiglia di mia madre è in un museo, mia madre è quella in fasce.