Nell’anno del disgelo delle sale cinematografiche dopo il lockdown, del trionfo di “Top Gun” e della consacrazione del cinema coreano, i Dardenne sono tornati a Cannes con uno dei loro lavori più essenziali.Tori e Lokita” è un manifesto sociale e di diritto all’umanità, che si colloca più che nel cinema di genere, nelle opere di denuncia, con atmosfere alla Ken Loach. 

Con una sceneggiatura concentratissima, protagonisti intensi e controllati, è un racconto spietato, alla ricerca della verosimiglianza e del realismo, tragicamente rivolto a una concretezza che mira a coinvolgere lo spettatore in prima persona.Tori e Lokita” ci fa precipitare insieme ai protagonisti nel loro vortice patibolare, in una reale empatia, mai captativa, ma semplicemente senza speranza.

Un’ avventura che si basa sull’ amore nato dalla disperazione e ciecamente indissolubile, invisibile alla burocrazia, a sua volta cieca, ma di regole e di dogmi, dove l’essere umano perde forma e volto. Tori e Lokita si trovano incatenati a un destino senza via d’uscita, che schiaccia ogni speranza, dalla violenza della speculazione e dell’abuso. Ultimo anello di una società di consumo che non considera l’illegalità e l’origine di gesti che meriterebbero attenzione maggiore, topi in trappola, oggetti residuali da sfruttare senza pensare alla loro anima e al loro corpo. 

I fratelli belgi hanno ormai fatto del loro minimalismo una firma, qui alla Bresson. Lokita si trasforma in una Mouchette migratoria, che grida il proprio dolore attraverso gli occhi di Tori, mentre fissa lo schermo parlandoci dei propri sogni interrotti. Non dovremmo voltare lo sguardo, far finta di niente. 

I Dardenne hanno regalato alle nostre anime un film di denuncia, calibrato su solitudini rumorose e guerre silenziose, da cui scappare ma che ricorrono in altre forme nella società che avremmo pensato liberale e salvifica. Da vedere, più potente, sovversivo e disturbante della modaiola e noiosa palma d’oro “Triangle of Sadness”. Premio minore a Cannes (per il 75° anniversario). Bella locandina di Manuele Fior.

Il Demente Colombo