Dopo l’uscita del primo singolo, Appesi alla luna, e soprattutto dopo l’uscita del secondo, Catrame, avevo letto molti commenti che tacciavano gli Zen Circus di essere sempre uguale a se stessi. Scusate, ma mi permetto di dissentire. Se è infatti innegabile che la scrittura di Andrea Appino non abbia perso di una briciola la sua forza generazionale, è ancor più vero che gli Zen Circus del 2020 sono il frutto di un percorso iniziato nel 2016 con l’uscita de “La terza guerra mondiale” e che, attraverso la pubblicazione del recente “Il fuoco in una stanza”, li ha portati verso uno stile più prettamente maturo e cantautorale.
Oggi infatti, fra i punti di riferimento del Circo Zen, non ci sono più solamente i numi tutelari di un tempo (Violent Femmes, Hüsker Dü, Rino Gaetano), ma anche e soprattutto alcuni classici della musica italiana come Lucio Dalla (ascoltate Ciao sono io) e influenze della new wave anni ’80 riscontrabili nell’utilizzo dei synth (alcuni inserti di Come se provassi amore, Bestia rara o della title track, che si permette anche un riuscitissimo assolo seventies style di quelli che in un album mainstream italiano, perchè di questo stiamo parlando, non se ne sentivano da anni). Insomma, gli Zen Circus sono diventati grandi e non hanno vergogna di mostrarlo. Prova ne sono i nove brani di questo “L’ultima casa accogliente”, undicesima uscita discografica in ventun anni di onorata carriera.
I tre ragazzi scappati di casa di un tempo hanno lasciato spazio a tre signori riflessivi, malinconici e persuasivi. Difficile non sentirsi presi in causa ascoltando i sempre illuminanti testi di Appino. «Vogliamo libertà / per tutti i popoli / ma i primi siamo noi / a non esser liberi», «Siamo accendini senza sigarette / siamo fame e sete / siamo dei gradini / fra le salite e le discese / di un milione di miliardi di destini», «Una ferita che non fa male / o una storia che vivi e poi racconti / ma non puoi cambiare, neanche interpretare, solo accettare». O ancora: «Avevo la strada davanti ma il futuro alle spalle / dei bambini come genitori / il mare nel fianco, una ferita aperta / fra lenzuoli di terra troppo soli, tu / una bottiglia di vino fra le gambe / ed una strada da dimenticare / la borsa piena di rami secchi / e nessuna voglia di ricominciare».
Sono tutti versi che parlano direttamente a ognuno di noi, senza filtri. Versi che fanno male, ma che per catarsi consolano anche. Questo è il più grande dono di questi tre toscanacci, quattro se contiamo la chitarra del Maestro Pellegrini, entrata nella famiglia proprio a partire dal già citato “La terza guerra mondiale”, l’album che ha tracciato la nuova via). Gli Zen Circus potrebbero essere nostri amici o nostri parenti. Potremmo essere noi.
Andrea Manenti

Mi racconto in una frase: insegno, imparo, ascolto, suono
I miei 3 locali preferiti per ascoltare musica: feste estive (per chiunque), Latteria Molloy (per le realtà medio-piccole), Fabrique (per le realtà medio-grosse)
Il primo disco che ho comprato: Genesis “…Calling All Stations…” (in verità me l’ero fatto regalare innamorato della canzone “Congo”, avevo dieci anni)
Il primo disco che avrei voluto comprare: The Clash “London Calling” (se non erro i Clash arrivarono ad inizio superiori…)
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso: adoro Batman