In poche parole, “Wall Of Eyes” dei The Smile è un disco bellissimo. E a dirla tutta, la recensione potrebbe anche finire qui. Perché è inutile sottolineare ancora una volta la straordinaria abilità di Thom Yorke nella scrittura di brani così emotivamente intensi; la capacità, sua e di Jonny Greenwood, di maneggiare strumenti e suoni fino a creare atmosfere lisergiche, che sono droga per sognare; infine l’apporto decisivo di Tom Skinner alla batteria, un tappeto volante ritmico come pochi altri in circolazione. Insomma, parliamo di artisti enormi, che difficilmente sbagliano qualcosa. E su questo non ci piove.
Ci si potrebbe allora soffermare sulle singole tracce. Sull’apertura acustica della title track e quei versi nella prima strofa (down a peg or two/you’ll go behind a wall of eyes/of your own device/is that still you?), oppure sull’incedere kraut di Read The Room e Under Our Pillows, robotiche e claustrofobiche nei riff ma ariose nello sviluppo. E che dire di Bending Hectic, il vero capolavoro del disco? L’atmosfera sospesa, apparentemente serena ma fragilissima, sfocia nel finale in un’esplosione di distorsioni che ricorda così tanto A Day In The Life che sarebbe stupido non pensare a un omaggio.
Ci si potrebbe poi concentrare su un paragone tra questo secondo disco e il suo predecessore, “A Light For Attracting Attention”. Il debutto era un lavoro più roccioso, nel senso di ruvido e spigoloso, impostato su un groove più accentuato e presente. Era anche un disco più lungo (13 tracce contro le 8 di “Wall Of Eyes”) e se vogliamo più complesso. Era il biglietto di sola andata per la nuova avventura musicale dei due fondatori dei Radiohead. Questo sophomore, invece, salvo qualche passaggio, sfiora corde che già avevamo sentito vibrare.
La questione non riguarda il ruolo della batteria, che a un primo ascolto sembrerebbe meno presente rispetto all’esordio. Al contrario, qui il lavoro di Tom Skinner si fa più intenso, anche se meno appariscente. Più ispirato, anche se meno martellante. Il “problema”, se così possiamo chiamarlo, ha piuttosto a che fare con la resa finale. Nel senso: che differenza c’è tra questo secondo disco dei The Smile e un ipotetico nuovo capitolo della discografia dei Radiohead?
Si ha un bel dire che questa nuova band rappresenti un progetto parallelo “altro”, con una propria identità e un sound tutto suo. Ma siate sinceri: se “Wall Of Eyes” fosse un disco senza copertina, senza titolo né intestazione, riuscireste davvero a distinguerlo da un’altra opera che va, diciamo, da “Kid A” a “A Moon Shaped Pool”? I più fanatici (me compreso) forse sì, ma si farebbe comunque fatica. Teleharmonic, alla fine, viaggia nell’orbita di Idioteque (“Kid A”), mentre in Friend Of A Friend si respira un’aria molto simile a quella di Codex (“King Of Limbs”) o Pyramid Song (“Amnesiac”).
Insomma, il punto è proprio questo. Nonostante la maggior parte dei brani di “Wall Of Eyes” sia stata concepita nello stesso lasso di tempo del suo predecessore, in questo secondo lavoro viene meno la spinta innovativa che trascinava “A Light For Attracting Attention”. Ciò non toglie, lo ripeto, che sia un album bellissimo. Ora torno ad ascoltarlo per la trentesima volta.
Paolo
Mi racconto in una frase:
Gran rallentatore di eventi, musicalmente onnivoro, ma con un debole per l’orchestra del maestro Mario Canello.
I miei tre locali preferiti per ascoltare musica:
Cox 18 (Milano), Hana-Bi (Marina di Ravenna), Bloom (Mezzago, MB)
Il primo disco che ho comprato:
Guns’n’Roses – Lies
Il primo disco che avrei voluto comprare:
Sonic Youth – Daydream Nation
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso:
Ho scritto la mia prima recensione nel 1994 con una macchina da scrivere. Il disco era “Monster” dei Rem. Non l’ha mai letta nessuno.