Un pendolo che oscilla tra suoni ed epoche passate, ma alle quali ancora la nostra generazione inevitabilmente appartiene, e una contemporaneità indie tradizionale che ci rassicura con la sua capacità di farci ritrovare in lei. A due anni dal precedente “Santa Rosa Fangs”, il cantautore californiano Matt Costa ha pubblicato in queste settimane il suo settimo album in studio, “Yellow Coat”.

Il disco ci riporta ad atmosfere Sixties da fine estate sulle Catskill, tra gonne ampie, sole caldo che lascia il posto a piogge torrenziali, spettacoli dell’ultimo giorno di villeggiatura e amori vacanzieri che “non dimenticheremo mai”, finché non ce ne sarà uno nuovo. E così la bella ballad Slow, traccia numero due del disco, ci trascina direttamente al centro della palestra addobbata a festa per il ballo dell’ultimo anno, mentre passa quel lento che aspettavamo di ascoltare fin dalla prima campanella di settembre.

Let Love Heal mantiene le suggestioni languide e morbide, ma suona più introspettiva e vicina nel tempo. Con Last Love Song e When The Avalanche Come sembra di essere catapultati direttamente nel film “Inside Llewyn Davis” con le sue ambientazioni folk passate sotto la lente degli anni 2000. L’album si chiude con So I Say Goodbye, chiara dichiarazione d’intenti dai sapori più next vintage, impreziosita da suoni aciduli e armonici insieme, che riportano al periodo più lisergico degli anni ‘60.

Una montagna russa tra citazioni, riferimenti e fascini di un tempo che fu e che in qualche modo è ancora, tanta è la capacità espressiva e di impatto di certi mondi sonori, sentimentali e lievi, che Matt Costa riesce benissimo a catturare, senza rinunciare tuttavia a filtrarli con la propria personalità. Parlare d’amore può essere rischioso, è bene dirlo, specie se lo si fa in maniera esplicita, senza metafore particolari, ma con frasi semplici e parole schiette; quando però lo si fa senza timori, con un’eleganza genuina e una spontaneità di chi racconta di fatto sé stesso, il risultato può rivelarsi un album fine, piacevole, mai invasivo o peggio stucchevole, che non nasconde la ricerca compositiva del proprio autore senza per questo suonare pretenzioso. Al giorno d’oggi non è cosa da poco.

Matt Costa, dopo circa 17 anni di carriera e sette dischi, riesce ancora a farlo irrobustendo il suo percorso artistico con ulteriori credibilità e coerenza, tutte da ascoltare e approfondire, e donando al panorama musicale un LP che ti culla e ti porta con sé.

Daniela Raffaldi