Una raccolta tra il folk-rock anni ’70 e certi bozzetti di Sufjan Stevens, anche per gli echi yodel e gospel ben presenti. Un album, “Song For Our Daughter”, dove la rilassatezza è davvero eletta a emozione regina. Anzi qui siamo oltre lo stato emotivo, qui siamo nella ricerca di un effetto neurologico farmacologico ed omeopatico. E quel che ne esce è un disco “per famiglie”, che mantiene in ogni caso un guizzo di sogno hippie. Una raccolta nostalgica, ma dai toni classici e senza tempo. Una prova d’autrice vagamente somigliante alle ballate di certe contemporanee che provano a riscoprire le radici americane, come Thao Nguyen.
Consigliato a tutti quelli che sono stati bambini, quindi nessuno è escluso: non è certo un disco di rottura, questo, ma ha sapienza da vendere nel costruire le canzoni, con trame a volte più jingle jangle, altre più arpeggiate o anche con strimpellate più decise. Batteria al minimo sindacale, coretti, slide e piccole pennellate sinfoniche a ornare come un pizzo pregiato e dalle trame incredibilmente sensuali. Country sì, ma non da redneck. Una raccolta che fa pensare al sole, all’aria aperta, a pelle contro pelle, agli odori. Fatevelo vostro e sognateci sopra, nell’attesa di tempi migliori per chi cerca il contatto con la natura.
Alessandro Scotti
La foto di copertina è di Justin Tyler Close
Mi racconto in una frase: vengo dal Piemonte del Sud
Il primo disco che ho comprato: “New Picnic Time” dei Pere Ubu è il primo disco che ho comprato e che mi ha segnato. Non è il primo in assoluto ma facciamo finta di sì.
Il primo disco che avrei voluto comprare: qualcosa dei Pink Floyd, non ricordo cosa però.
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso: la foto della famiglia di mia madre è in un museo, mia madre è quella in fasce.