Mille Punti è il nome del progetto di un musicista milanese che il 15 marzo 2019 ha pubblicato “Retrofuturo”, il suo disco d’esordio per Vetrodischi e A1 entertainment. Disco music all’italiana con un tocco di psichedelia. Una voce calda e profonda che racconta la malinconia dei ricordi e la goduria della vita, quel passato che si ripresenta continuamente e la voglia di andare avanti, spingendosi sempre un po’ più in là. Disco malinconia, disco psichedelia, psichedelia ballabile: chiamatela come volete, basta che indossate le vostre scarpe più comode. Abbiamo fatto una chiacchierata con lui per scoprire qualcosa di più.
A cura di Alessandro Benedetti
Partendo dall’inizio, da dove nasce l’idea di Mille punti, sia come nome sia come progetto musicale? Cosa c’è dietro e cosa ci sarà poi in futuro?
Musicalmente la mia storia parte da quello che è stato il mio gruppo storico, la band in cui ho suonato più o meno da quando ho iniziato a prendere in mano la chitarra fino a che non ci siamo sciolti due anni fa. Il gruppo si chiamava Revo. Quando ci siamo sciolti ho fatto fatica a realizzare quello che volevo fare, perché non avevo mai cantato, però poi mi sono messo in proprio, se così si può dire, e ho iniziato questo progetto solista che è appena uscito.
Si può dire che la malinconia faccia parte del tuo “retrò”, del tuo passato? Nel futuro che cosa vedi? Qual è la tua speranza?
Diciamo che la parte futuristica è più da un punto di vista musicale che di tematiche, nel senso che non mi piacciono quei progetti proprio derivativi, che sembrano delle copie di qualcosa fatto nel passato, sai quelli tipo anni ’70, musica tutta uguale, tutto così. Mi piace comunque che ci sia sempre un elemento di innovazione dal punto di vista musicale. Dal punto di vista invece testuale, diciamo che prevale più la parte, come dicevi tu, retrò, quindi questa malinconia, il ricordo di questo passato che ritorna continuamente sotto varie forme nella quotidianità.
Nella tua biografica dici – anche un po’ ironicamente – che la tua musica è un po’ come se i Tame Impala facessero una cover di Alan Sorrenti. Quale corrente musicale ti ha accompagnato in questo periodo di scrittura del disco? A chi ti sei ispirato e chi ti ha ispirato?
Diciamo che la definizione è abbastanza esplicativa, nel senso che i due filoni che maggiormente mi hanno ispirato durante la stesura del disco sono da una parte tutta la disco music, soprattutto quella italiana, appunto di Alan Sorrenti, Carella, i dischi di Battisti della metà degli anni ’70, ma anche le robe americane tipo gli Chic e i Bee Gees, e dall’altra tutta la cosiddetta neopsichedelica, quindi MGMT, Tame Impala, eccetera. Quindi diciamo che questo concetto di “retrofuturo”, di roba vintage e di roba un po’ più moderna, c’entra anche con l’aspetto musicale. Insomma, mi piace molto quel filone musicale che ha un piede nell’elettronica e l’altro nella musica suonata, tutti i gruppi che hanno valorizzato il groove e la ritmica nei loro pezzi.
Questa è la tua prima esperienza da solista, ma anche da cantante. Quali sono state le sfide più grandi a livello umano – visto che hai raccontato che è stato un periodo duro per te – e quali sono stati gli ostacoli, ma anche le opportunità che ti hanno portato a questo disco?
Ti direi che tutto il progetto in sé è una grande sfida. Io appunto da quando ho iniziato a suonare e ad entrare nel mondo della musica, ho sempre lavorato in squadra, all’interno di una band, con tante personalità molto forti, per cui ogni idea veniva vagliata e confrontata e rielaborata mille volte, per poi arrivare al prodotto finale. Quando sei da solo, invece, è difficile perché a volte perdi un po’ la bussola, perché sei tu l’unico giudice e devi essere severo con te stesso per non fare uscire la prima cosa che capita. D’altra parte però devi essere anche un po’ permissivo con te stesso, proprio per non entrare in un loop di “Ah cazzo, questa cosa fa cagare, non riuscirò mai a tirarne fuori qualcosa di buono”. Inoltre da un punto di vista banalmente tecnico, io non ho mai cantato nella mia vita e nel momento in cui ho deciso di fondare questo progetto mi sono anche imposto come obiettivo quello di imparare a cantare e di mettere il canto al servizio di quello che scrivo. Nei Revo, invece, io scrivevo e poi i testi venivano interpretati dagli altri.
Quindi hai anche cambiato prospettiva, da accompagnare la voce ad essere tu un il protagonista…
Sì, decisamente. Anche perché, da un punto di vista prettamente testuale, chiaramente è molto più diretto il passaggio. Quando scrivevo per la mia band, quando confezionavo un testo e lo presentavo agli altri, avevo sempre un occhio di riguardo verso le persone che l’avrebbero cantato. Sapevo che c’erano determinate tematiche che erano mie e non erano condivise dagli altri e che non sarebbero state credibili in bocca a uno dei due cantanti della band; mentre invece in questo progetto mi sono permesso di scavare a fondo nella mia persona, nella mia storia personale, e quindi anche di dare voce ad alcune tematiche di cui non sarebbe stato possibile parlare prima.
Ho riso molto quando nel comunicato per l’uscita di “Retrofuturo” ho letto che il disco sarebbe stato disponibile “da oggi, 15 marzo 1974”. È una data per te importante o è stato semplicemente un gioco, pensando al retrò?
Mah, sì, abbiamo fatto questo gioco per tutti i singoli, un po’ come se Mille Punti fosse un personaggio arrivato dagli anni ’70… Mi piace molto confondere i piani temporali, tutto il concept del disco si basa su questa idea: il passato che ritorna sul presente e tu che vivi un presente condito da mille ricordi, mille visioni che ti riportano a qualcosa che hai già vissuto. Quindi ci piaceva anche da un punto di vista comunicativo evidenziare questa roba degli anni ’70, una release dell’epoca. È un gioco che ci diverte fare, insomma.
Ho letto nei ringraziamenti del disco che hai collaborato con Riccardo Montanari dei Belize. Come è nata questa collaborazione?
Con Richi collaboro solo dal vivo. Infatti sul palco saremo in tre: io, Richi e Marco dei Les Enfants, un altro protagonista della scena milanese, se così si può chiamare. Entrambi sono prima di tutto miei amici. Marco lo conosco da una vita, abbiamo collaborato mille volte con i nostri progetti e abbiamo fatto mille estati insieme. Richi invece è una conoscenza più recente, ci siamo incontrati tramite amicizie in comune e per il fatto che i Belize erano una delle band che giravano a Milano. La cosa divertente è che l’estate scorsa, mentre stavo scrivendo il disco, abbiamo dato vita a un progetto per divertimento che si chiamava “Il supergruppo”. Eravamo proprio noi tre, con l’idea di fare jam session di disco music da cui estrapolare poi delle canzoni. Però tutto era nato per gioco e tra una cosa e l’altra il progetto era stato messo in stand by. Poi però, al momento di decidere in che modo portare dal vivo i brani di “Retrofuturo”, diciamo che la scelta era già sotto i miei occhi. C’erano due cari amici con cui già suonavo, con cui già condividevo la passione per la disco music, per realizzare un live molto ballabile.