Che Niccolò Contessa abbia già prenotato un posto nell’olimpo dei grandi, credo non ci sia alcun dubbio. Non solo per la musica pubblicata, ma anche per l’atteggiamento da vero artista che ha sempre dimostrato, lontanissimo dai riflettori, dai facili guadagni, semplicemente consapevole di un percorso inattaccabile, fatto di scelte sincere e spontanee, quanto mai banali. Poi l’eremitaggio forzato dal ruolo in prima linea e un fitto lavoro dietro le quinte come autore e produttore, sempre ad altissimi livelli. Basti ascoltare il progetto Tutti Fenomeni.
Ma spesso le cose cambiano e dopo nove lunghi anni Contessa pubblica un disco nuovo sulla lunga distanza, un disco di canzoni. Poteva essere un segnale lo split condiviso con i Baustelle, clamoroso di per sé, una joint venture insolita e mostruosamente riuscita, concretizzata un paio di anni fa, ma un album nuovo tutto suo sembrava un miraggio per i tanti estimatori. Invece, dal nulla, senza preamboli di alcun tipo, in una mattinata quasi estiva, arriva “Post Mortem”, il quarto disco della saga.
Come al solito non poteva essere che un lavoro fatto alla sua maniera, da vero artista, libero da ogni dogma preconfezionato, una raccolta ricchissima, stralunata, distante dalle mosse colorate di “Aurora”. Ancora una volta un capitolo spiazzante di una carriera senza precedenti, sicuramente il miglior interprete della sua generazione, sicuramente uno dei migliori interpreti di sempre.
“Post Mortem” è un disco de I Cani, senza esserlo. Ci sono le chitarre, mai apparse prima, e decisamente meno ritornelli, quelli diventati involontariamente tormentoni di qualità e che tanto hanno marchiato la storia di Contessa, ma ci sono un mucchio di altre cose bellissime, scelte produttive non convenzionali, condivise con il sodale Andrea Suriani, un rinnovato approccio alla materia, musica intoccabile e la collocazione di un artista nella sua nuova veste, che non bada a spese e, se è tornato, lo vuole fare per lasciare il segno ancora una volta.
La psichedelica Io apre il filotto con voce rarefatta e narrante e un non-ritornello da lunga nota. Poi arriva il beat anni Novanta di Buco nero, filastrocca diretta e altezzosa, quello che, con le dovute precauzioni, potrebbe essere considerato una sorta di singolo, quasi “alla vecchia”. Colpo di tosse magari lo vedremo vagare nelle varie playlist, mentre l’alternatività di Colpevole, scarna e senza logica, punta in alto.
Ma senza fare l’elenco della spesa, “Post Mortem” è bello dall’inizio alla fine, non c’è un riempitivo buttato lì a caso, e non serve servirlo a piccole dosi, va gustato per intero. Un lavoro che non fa sconti, rimettendo l’arte al suo posto e la vera musica italiana al centro dell’attenzione. Era ora.
Fabio Campetti
