Che Howe Gelb sia un folle genio, non è cosa nuova. Ma nell’intima arena dello Spin Time Labs, che ospitava la rassegna Unplugged in Monti, tutti noi presenti ne abbiamo avuto un’ennesima conferma. Un Howe super carico ha regalato alla sala quasi piena un’ora e mezza di musica meravigliosa e schizofrenica.
Un concerto tra amici, dove pianoforte e chitarra si mescolano, scambiano e sovrappongono, dove le chiacchiere si alternano a sorsi di birra e dichiarazioni d’amore alla pizza. Quella tradizionale, sia chiaro, perché “In America c’è chi mangia la pizza con l’ananas, e sono quasi sicuro che siano gli elettori di Trump. Non sono cattivi, sono solo molto confusi”.
Il leader dei Giant Sand è rilassato e sorride sotto gli ochhiali ben protetti dalla visiera del suo cappellino, improvvisa al pianoforte, alza a palla i volumi dell’ampli della chitarra durante gli assoli, tenta di ammorbidire i suoni del piano buttandoci sopra la giacca o di renderli imprevedibili buttando nella cassa armonica delle batterie che ha pescato non si sa dove.
Seguendo una scaletta stroppicciata appoggiata sul leggio del piano, alterna cover come quella di George Jones, I always get lucky with you o Wayfaring Stranger di Johnny Cash a pezzi originali, tanti del nuovo disco. Come Gathered, la title track, che racconta di aver scritto sotto la doccia la mattina del matrimonio del suo figlioccio, che ha officiato dopo essere diventato ministro via internet. Oppure Flyin’ off the Rail, dove si lancia in una divertente spiegazione del testo, e ancora Steadfast, la prima canzone che abbia mai scritto ma che è inserita e chiude quest’ ultimo lavoro discografico.
Ma non solo brani nuovi: bellissima l’interpretazione di Irresponsible Lovers, che ha lasciato la sala in un silenzio incantato. Non ha paura di regalarci pezzetti della sua intimità, come il fatto che Storyteller è stata scritta dal suo migliore amico ed è stata ritrovata dopo la morte di questo. Oppure di come il suo modo di scrivere la musica sia cambiato, e ora scriva canzoni senza scriverle, incidendole su disco che poi deve passare dal computer e poi al telefono per riascoltarlo. Uno di questi prodotti ce lo presenta: si intitola Ruin Everything, forse, o roba del genere, ancora non è deciso.
E, quando ormai il nostro tempo insieme è agli sgoccioli, Howe ci spara addosso una frase così semplice e così vera: la musica è viva solo quando cambia ogni volta. Ed è questo che più di tutto mi porto a casa, quello a cui ripenso mentre cammino sul marciapiede verso la metropolitana: a quanto sia rara e potente la magia della creatività artistica senza briglie, libera di cavalcare nella sua folle, inebriante bellezza.
Giulia Zanichelli

Mi racconto in una frase
Famelica divoratrice di musica e patatine (forse più di patatine), diversamente social e affetta dalla sindrome di “ansia da perdita” (di treno, chiavi di casa, memoria
e affini).
I miei 3 locali preferiti per ascoltare musica
Auditorium Parco della Musica (Roma), Locomotiv Club (Bologna), Circolo Ohibò (Milano).
Il primo disco che ho comprato
“Squérez?” dei Lunapop, a 10 anni. O forse era una cassetta.
Comunque, li ho entrambi.
Il primo disco che avrei voluto comprare
“Rubber Soul” dei Beatles.
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso
Porto avanti con determinazione la lotta per la sopravvivenza della varietà linguistica legata alla pasta fresca
emiliana: NON si chiama tutto “ravioli”, fyi.