Quanto tempo è passato da quando “Ragged Wood” si spandeva come brezza primaverile nella stanza dei miei, in una camera nella quale realtà, sogni e fantasmi si rincorrevano e battagliavano con la pervicacia di una tarda adolescenza, ormai prossima a lasciarsi alle spalle le schermaglie di un tempo…
Tuttavia, quando molti anni dopo, equinozio d’autunno 2020, esce l’ultimo lavoro dei Fleet Foxes, “Shore”, tutto torna alla casella di partenza e si ascolta ogni canzone sapendo che la pedina della tua vita, gioco dell’oca
sempre più preda di mature preoccupazioni, ha fatto un giro a spirale probabilmente più per il gusto di tornare a casa che per arrivare a destinazione.
La voce di Robin Pecknold è cresciuta con te, e avendo la tua stessa età, 34 anni, ha permesso quel morboso gioco di rifrazioni, guardando allo specchio lui per ammirare la posizione in società che nel frattempo hai maturato tu. E qui bisogna dire che, a dispetto del momento, nonostante tutte le immense angosce che costellano la nostra vita, dove la politica arranca e l’emergenza sanitaria diventa consuetudine, il sollievo che restituisce il disco è un esempio di raro ottimismo. Da ascoltare sul divano in attesa che il supporto su disco veda la luce, ma va bene anche l’attuale e unica versione digitale in assenza di altro.
Tra ascese graduali, momenti di tranquilla attesa e cavalcate vibranti tanto simili agli esordi, “Shore” annuncia la vita arrivare, anche se questa, talvolta, cede alla paura. Esemplare in questo senso è Sunblind: luminosa sinfonia a raggiera che spinge i colori e la loro vivacità fino alla piena gratitudine nei confronti di chi, venendo a mancare, non c’è più. Parliamo dei numi tutelari di Pecknold, ormai unico e solo timoniere della band: Richard Swift e David Berman, Judee Sill ed Elliott Smith, Arthur Russel e John Prine. Angeli che custodiscono segreti, macchine creative da cui non smette di prorompere una grande forza, generativa e trasformatrice.
Ascoltando le 15 canzoni di questo intenso affresco si ha esattamente la sensazione che un qualche cambiamento ci abbia già reso diversi da quelli che eravamo. E non è per forza un male.
Alberto Scuderi
Photo Credit: Emily Johnston
Nome e Cognome: Alberto Scuderi
Mi racconto in una frase: “Il matrimonio altro non è che quella odiosa ipoteca posta sui coglioni” Giuseppe Rovani. La frase è fortina e un conservatore come me non la condivide appieno. Tuttavia, l’avrei voluta scrivere per primo.
I miei 3 locali preferiti per vedere Musica: Paradise (Amsterdam), Ohibo (Milano), The Craftsman Jazz Club (Reggio Emilia)
Il primo disco che ho comprato: Rock is Dead (Singolo) Marilyn Manson
Il primo disco che avrei voluto comprare: Jagged Little Pill di Alanis Morisette
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso: Ciascuno ha le sue: penso che il sapone di Marsiglia sia veramente insopportabile. Per le proprie mani, per l’ambiente in cui si spande come veleno, per la società che lo produce e per tutti coloro che si ritrovano a venderlo trasversalmente al pensionato come allo studente fuori sede sfigato che non conosce lozioni altre da applicare alle proprie falangi. Ci vorrebbe una grande petizione popolare: ah, se fossimo negli anni ’70!