«Sono un padre, sono un figlio, una gran testa di cazzo». Sono i versi iniziali della prima traccia dell’ultimo album di Bugo, il decimo in carriera e il più sincero da un bel po’ di anni a questa parte. Dal sound debitore degli Oasis (il quasi plagio di Fuckin’ In The Bushes nei due brani strumentali Tito Zeno) e in minor parte dei Beatles, al cantato in stile CelentanoVasco Bugo stesso (sì, perché Bugo è giustamente fra i miti di Bugo), questa volta Cristian si è buttato a capofitto in un mondo sonoro fatto a sua misura.

Dopo l’autocelebrazione introduttiva («io che son casalingo, qui mi rompo i coglioni»), la scaletta passa da veri e propri inni da cantare a squarciagola (Un bambinoRock And Roll, che è una nuova Rotta per casa di Dio in variante non maschilista e con una colonna sonora migliore, il non sense adorabile di Non lo so) a pezzi più intimi e delicati (Bilancio Di CoppiaCarciofi, ovvero la Married With Children dei soliti Gallagher in versione Bugo, Finalmente Io Ti Vedo Sicura, la dolcissima Salvo Il Tuo NomeScivola Via e la conclusiva Mica Siamo Ad Hollywood, con tanto di tributo a Luca Carboni, una volta tanto riconosciuto come grande narratore dell’intimità).

Un album sincero, un po’ come lo era stato “Cyberclown” per Alberto Camerini, un autore che si potrebbe avvicinare a Bugo per storia e stile. Alberto si era rifugiato nel punk per sentirsi a casa, Cristian ha fatto lo stesso con il rock and roll brit della sua infanzia.

Andrea Manenti