Attore, ma soprattutto cantautore statunitense, cinque diversi pseudonimi (Palace, Palace Songs e Palace Brothers negli anni Novanta; il nome di battesimo Will Oldham e appunto Bonnie Prince Billy nel nuovo millennio), quasi cinquant’anni di vita, un’infinità di uscite discografiche e un genuino amore per il folk a stelle e strisce: questa la carta d’identità dell’autore di questo nuovo “I Made a Place”.

Un album sornione e riflessivo, ma con accenti gioiosi e danzerecci, bello e sfrontato, classico e imprevedibile: un disco vitale, da ascoltare nei lunghi viaggi in macchina, come durante le feste alcooliche con gli amici, in perfetta solitudine o danzando amorevolmente con una bella ragazza. L’inizio è affidato a New Memory Box, probabilmente il pezzo più frizzante del lotto, che fra banjo e ottoni vi porterà all’istante a dimenarvi all’impazzata. Questo spirito dionisiaco si ripeterà in The Devil’s Throat, canzone nata sotto lo spirito di Pete Seeger, come in Squid Eye; dolcissime invece le ballad Dream Awhile, Nothing Is Busted e Thick Air.

Look Backward On Your Future, Look Forward To Your Past e This Is Far From Over nella loro semplicità per sola chitarra acustica e voce omaggiano la tradizione rebel di un Johnny Cash o un Woody Guthrie, la title track il rock dei sixties (come non sentire il riff di The End dei Doors nei gentili arpeggi del nostro o il fantasma dei Traffic nel solo finale di flauto?). Da citare anche il valzer di Mama Mama, così come il finale simil traditional dell’ipnotica Building a Fire (nella struttura molto simile a un altro bellissimo brano folk dell’ultimo decennio: Instrument di Mason Jennings). Insieme a “Ode to Joy” dei Wilco, il disco alt (?) country dell’anno.

Andrea Manenti