“Judy, è possibile che la tua assenza ti renda ancora più importante della tua presenza?”. È proprio su una triste musa ormai lontana che Andy Shauf, musicista canadese, imposta il racconto che troviamo diviso in nove brani all’interno del suo nuovo lavoro, “Wilds”. Non è la prima apparizione di Judy; infatti viene nominata nel suo disco precedente, “The Neon Skyline”, ma è un passaggio rapido, veloce, indolore, mentre qui il suo fantasma infesta ogni parola, ogni nota, impregnando le canzoni di malinconia.
Il nuovo disco è formato da pezzi nati durante la registrazione del disco precedente, ed è la semplicità nelle melodie che, oltre a distinguerle da tutti gli album passati, in cui la costruzione era più complessa, ne sottolinea la genesi casuale, dovuta più a un impulso che a un ragionamento.
L’artista ha scelto di mettere a nudo la propria anima seguendo il filo conduttore della donna, svelando le proprie paure, passando attraverso la solitudine, i sogni infranti, gli incubi, le parole urlate nelle discussioni: tutto questo trova una corrispondenza nella decisione di spogliare le canzoni, perché alla fine la loro anima risiede nella voce e nell’accompagnamento essenziale della chitarra, il cui suono viene adattato alla perfezione ai sentimenti narrati, senza mai prendere il sopravvento sulle parole.
Il cantato spesso assume il tono della conversazione quotidiana, anche nel racontare i momenti in apparenza più banali e le conversazioni, come in Green Glass, dove azioni quotidiane come prendere insieme un caffè o guardare la televisione assumono un significato del tutto diverso quando a farlo non si è più in due; o come in Judy (Wilds), la canzone che apre la tracklist.
In altri casi, i brani assumono anche una visione introspettiva, ad esempio Call o Wicked and Wild, in cui vengono rivelate le mancanze e le difficoltà che l’allontanamento di Judy hanno portato alla luce: la volontà ossessiva del musicista di sentire una voce che chiama dalla strada rivela la sua condizione di angosciante immobilità, dalla quale non riesce a scappare, o la grande quantità di dubbi che non trovano più una risoluzione, diventano storie narrate con delicatezza e sincerità, senza tentativi di nascondere anche gli aspetti negativi del quotidiano dietro invenzioni o sonorità più complesse.
Uno degli elementi che colpisce subito è come la maggior parte della canzoni si concluda con delle domande, ripetute in modo ossessivo. Interrogativi che rimangono aperti, ma che diventano un aspetto affascinante in un disco che, pur portando con se’ il peso e il dolore di una storia che non ha avuto una chiusura definitiva, riesce con tutti i suoi punti di domanda e la sua difficile verità ad arrivare direttamente all’anima, a suonare vicino a chiunque lo ascolti, a seconda della prospettiva con cui si sceglie di interpretare la storia dell’artista e del suo vuoto, la storia di Judy.
Lucrezia Lauteri
