Will Paquin torna con “Hahaha” e firma il suo lavoro più sorprendente, sfrontato e irresistibile: un album che ride in faccia al dolore, che trasforma la nevrosi in ritmo e che conferma quanto questo giovane cantautore americano – emerso dal sottobosco di TikTok con il virale *Chandelier* – sia oggi una delle penne più brillanti e imprevedibili della nuova scena indie. Il disco si apre con **We really done it this time**, un brano che è già una dichiarazione d’intenti: un “motivational senza motivo”, come se Paquin si divertisse a sabotare dalla prima nota ogni aspettativa, con chitarre western e un sound volutamente grezzo, ma costruito con una cura vintage ammirevole. È un inizio che disorienta e accende, un piccolo schiaffo sonoro che mette subito in chiaro che *Hahaha* non è un album qualunque: è un autoritratto inquieto, ironico, pieno di energia viscerale. Il singolo I work so hard, colonna portante del disco, rappresenta alla perfezione lo spirito di Paquin: un paradossale inno al duro lavoro scritto – ironicamente – da un ragazzo che sogna solo una siesta infinita. La sua voce sembra quasi sdraiarsi in un’amaca, sorseggiando una piña colada, mentre nelle orecchie gli ronzano i suoi amati giganti psych-rock come Ty Segall e Thee Oh Sees. È un brano che ha la freschezza di un pezzo nato alle medie, quando tutto è ancora gioco, ma già ricco di quell’intelligenza umoristica che oggi lo rende unico.

E poi c’è **Hahaha**, la title track, scritta dopo una rottura amorosa: un pezzo che veste di sarcasmo l’abbandono, che trasforma il blues di un amore infranto nel rumore di una risata amara, quella di chi se ne va ridendoti in faccia. È qui che Paquin mostra la sua capacità di fondere leggerezza e dolore, clown e tragedia, come i migliori storyteller del rock alternativo. La successiva **Orangutan** porta tutto all’estremo, con quel paragone fulminante – l’amata perduta come un fugace scimmiotto incontrato lungo il cammino – e un rock’n’roll che sembra uscito da un cartone animato, rapido, colorato, scapestrato. Paquin ha il dono raro di sdrammatizzare senza perdere profondità, di ridere senza mai essere superficiale. Verso il cuore del disco emergono le sue radici multiple: nel brano lento **Libby’s Theme** si colgono delicatezza, malinconia, echi beatlesiani e un po’ del Beck di *Loser*; mentre l’energia punk torna a ruggire nel penultimo pezzo, **I need to know**, una disperata erotica love song che esplode in tutta la sua urgenza emotiva. A colpire, in tutto *Hahaha*, è la coerenza tra anima e suono: il disco è autoprodotto e autodistribuito, ma suona come il lavoro di un musicista già maturo, scafato più di quanto la sua giovane età lasci immaginare. Le chitarre hanno una grana western affascinante, la batteria sembra “invecchiata bene”, il basso ha quel sapore Fleetwood Mac anni Settanta che dona ai brani un respiro analogico, organico, autentico.

Will Paquin è  da ascoltare, uno a cui affezionarsi lentamente, come si fa con gli artisti veri e  con *Hahaha* dimostra di saper scrivere canzoni che vibrano di vita e di ironia, che fanno ridere, ballare, pensare. Un disco che nasce da una stanza chiusa, da un ragazzo e la sua chitarra, ma che spalanca un futuro possibile. E molto luminoso.

 

Will Paquin suonerà in Italia, venerdì 21 novembre al Circolo Bellezza e sabato 22 novembre al Covo di Bologna. Non perdetelo!