Gran bel disco di rock psichedelico, bifronte senza essere schizofrenico, diciamo più ying e yang che diavoli e angeli, ulrika-spacek-the-album-paranoiada peccatore senza sensi di colpa. A tratti sporcaccione come piace a me: echi dei Suicide, chitarre riverberate, mid tempo ostinati alla Wooden Shijps, ballate stile out-takes degli Stooges periodo James Williamson, con chitarre e tastiere che si ricorrono come cobra incantati e che flirtano e ti incantano come danzatrici discinte. Riff beceri e scontati ma efficaci ed accurati allo stesso tempo. Questa la parte pirata della proposta, perché c’è anche il lato signore, quello fatto di arpeggi profumati di alta sartoria, ossessivamente curati nei dettagli, un po’ shoegaze, un po’ Spacemen 3,un po’ Donovan, un po’ ballate pinkfloydiane.
Se preferite il rock muscoloso in “I Don’t Know” e “NK” potete trovare pane per i vostri denti, “Airportism”, “Porcelain”, “Circa 1954” e “There’s A Little Passing Cloud In You” sono invece per quelli che vogliono mordere nel morbido, infine “Beta male”, “she’s a cult” e “Strawberry Glue” cercano di accontentare ecumenicamente tutti gli ascoltatori, sviluppando all’interno dello stesso pezzo i due poli entro i quali si svolge la musica di “the album paranoia”
Bravi questi Ulrika Spacek, che propongono un rock che non rinuncia a ricordare i suoi anni ruggenti, quando era ancora percepito come una minaccia al quieto vivere e strizzava l’occhio a chi gli passava vicino promettendo piaceri e scoperte proibite. Ce ne fossero di più di ragazzi così attaccati alle tradizioni!

Alessandro Scotti