La saga americana di Linklater continua. Dopo “Boyhood”, il regista texano continua a raccontarci come sia crescere degli States, partendo da dove aveva interrotto la vicenda di Mason Evans, ovvero dal suo arrivo al college. Il punto di partenza è lo stesso, ma questa volta il registro è quello della fiction, autentica, d’epoca, travestita da anni ’80 e popolata da tanti ragazzoni in calzoncini e baffi, da farci rimpiangere Magnum PI. L’immaginario è quello delle serie americane con cui siamo cresciuti, coloratissimo e machissimo.
Il protagonista di “Tutti vogliono qualcosa” è Jake, giovane permeabile alla vita e alle novità, un ragazzone americano col talento per il baseball, che inizia il proprio percorso di crescita nella casa dove vivrà con la propria squadra. Il testosterone trasuda dai muri, gonfia i muscoli e non solo, in un’ora e mezza di feste, sbronze, balli in discoteca alla caccia di carne fresca, sudaticcia e in movimento. Tra questa esplosione ormonale, Linklater resta fedele alla propria attenzione ai dialoghi, divertenti, intelligenti, che raccontano le diverse attitudini e qualità dei protagonisti, influenzate da personalità, provenienza e intelligenza. Jake prova tutto, esplora con una curiosità autentica, senza perdere nulla, mosso dal branco, come un Candido dai jeans troppo attillati e con la t-shirt sul punto di esplodere. Scoprirà però che i confini sono dove noi li poniamo, che per crescere è necessario uscire dal gruppo per cercare la propria strada e, forse, l’amore.
Chissà se seguirà un altro film su una nuova età della vita, in linea con questa irresistibile prospettiva autoriale che ormai è la firma di Linklater. Me lo auguro, perché “Tutti vogliono qualcosa” è piacevole, soprattutto se visto in lingua originale, un bel film senza troppe pretese, per accompagnare la leggerezza di queste sere d’estate. Come sempre, grande colonna sonora.
Il Demente Colombo