Quando strappi via una pagina del calendario – metaforicamente o no, scegliete voi – e ti ritrovi a fissare quei piccoli numeri dei primi giorni di un mese nuovo, non puoi fare a meno di esclamare cose tipo “ehi siamo già a maggio” o lasciarti andare alle solite considerazioni su quanto velocemente passi il tempo. A questi brevi lampi di malinconia seguono di regola buoni propositi, accompagnati da voglia di novità e freschezza. Bene, se volete passare subito a questo stato d’animo di apertura positiva, guardatevi bene dal nuovo album dei The Wild Feathers.
Ok, vengono dal Tennessee e probabilmente l’avranno buttato giù durante qualche viaggio in macchina organizzato all’ultimo momento, “guidiamo fino al tramonto e poi ci fermiamo davanti a un fuoco a improvvisare qualcosa con la chitarra”. Ma il 2002 è passato ormai da un pezzo e l’ingenuità di cui è farcito Lonely Is a Lifetime non può essere giustificata.
Questo disco è totalmente pervaso da un noioso mix tra rock, folk e pop, con il risultato che la maggior parte dei brani sembra voler candidarsi ad essere la prossima hit preferita dalle radio di finta nicchia, tipo Virgin Radio, per intenderci. Ogni singolo pezzo di Lonely Is a Lifetime dà l’impressione di seguire sempre lo stesso schema: l’attacco ritmato, il ritornello cantato tutti in coro, l’assolo, prevedibile come una frase uscita dalla bocca di Dawson Leery, e poi ciao, si va tutti a casa su una nota lunga.
Se c’è qualcosa che ci fa sperare in bene, è il lungo intervallo strumentale di Goodbye Song, giusto perché c’è un tentativo di plagio ai danni dei Pink Floyd. Con questo loro secondo lavoro, i The Wild Feathers si sono confermati dei bravi ragazzi del Sud, bonaccioni e fin troppo ottimisti.
Non mettetelo su se volete fare colpo su qualcuno.

Laura Masumarra
guarda il video

ascolta

compra