Dovrebbe essere già primavera, ma l’aria è bella frizzantina mentre esco dal Monk, in un martedì sera di maggio, il 9 per l’esattezza, dopo il concerto dei Sick Tamburo. Ma non ho freddo. Saranno le birre, sarà perché sto affrettando il passo nel disperato tentativo di raggiungere una Enjoy.
Sarà perché ho ancora addosso le schitarrate di Gian Maria Accusani, Elisabetta Imelio e soci, e il sudore e le grida di quelli attorno a me, e l’energia appiccicosa dei poghi che sono partiti almeno due o tre volte durante il live. No, non mi ci sono buttata in mezzo, a quel pogo, sono rimasta nella sezione vecchia guardia + fidanzatini (senza nessun diritto di starci, tra l’altro). Ma quell’energia mi è rimasta comunque appiccicata addosso.
Quello dei Sick Tamburo è stato il concerto che mi aspettavo di trovare. Sono sempre loro. Sono ancora loro, forse direbbe qualcuno. Ma ne siamo consapevoli e proprio per quello, alla fine, siamo andati. Per tornare a casa, nei loro suoni punkettari e familiari.
E no, Acida dei cari vecchi Prozac + non l’hanno fatta, anzi, Gian Maria ha detto che è la sua canzone più brutta. Non per noi, ma questo non importa, e non importa neanche a loro. Ci mitragliano addosso il nuovo disco “Paura e l’amore”, che tanto ci ricorda la vecchia band, fin dall’apertura con Agnese non ci sta dentro. Non ci fanno certo mancare il singolone Baby Blue, e neppure Lisa ha 16 anni e Il più ricco del cimitero, forse il mio pezzo preferito del nuovo disco.
A fare compagnia ai nuovi pezzi ci sono le più o meno vecchie glorie, da Un giorno nuovo a Ho bisogno di parlarti, da La fine della chemio a Dimentica o Quando bevo e nel bis pure Meno male che ci sei tu. Non mancano neppure i compari nordici da carrambare sul palco: sulle note de Il fiore per te, vestito da Brokeback Mountain, camicia a quadrettoni e smanicato in piumino, arriva Davide Toffolo, che mi ritrovo dieci minuti dopo alle spalle, con il cappellino da baseball dell’Istituto Italiano di Cumbia ben calcato in testa a canticchiare le canzoni dei compaesani mentre si avvicina al bancone (vedi il video qui sotto).
Insomma, a conti fatti esco dal concerto, in quell’aria frizzantina di cui sopra, contenta. Perché il bello dei Sick Tamburo è proprio questo: che sanno usare bene le loro collaudate armi sonore e riescono, canzone dopo canzone, a spazzarti via i pensieri molesti e ansiogeni di cui siamo costantemente caricati, a volte soggiogati. E, anche se a tratti capisci poco o niente di quello che sta cantando Accusani (se sia questione di passamontagna, di impianti o di fonici, ai posteri l’ardua sentenza), ti ritrovi lì, con loro, sorridente a saltellare.
Giulia Zanichelli
Video postato da Rui Cardo

Mi racconto in una frase
Famelica divoratrice di musica e patatine (forse più di patatine), diversamente social e affetta dalla sindrome di “ansia da perdita” (di treno, chiavi di casa, memoria
e affini).
I miei 3 locali preferiti per ascoltare musica
Auditorium Parco della Musica (Roma), Locomotiv Club (Bologna), Circolo Ohibò (Milano).
Il primo disco che ho comprato
“Squérez?” dei Lunapop, a 10 anni. O forse era una cassetta.
Comunque, li ho entrambi.
Il primo disco che avrei voluto comprare
“Rubber Soul” dei Beatles.
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso
Porto avanti con determinazione la lotta per la sopravvivenza della varietà linguistica legata alla pasta fresca
emiliana: NON si chiama tutto “ravioli”, fyi.